Non fatemi scendere

A Vancouver ha conquistato il suo primo podio assoluto. Adesso Marco Fichera vuole confermarsi. L’intervista.

 

A 20 anni, alla sua prima stagione fuori dalle categorie giovanili, ha centrato un podio in Coppa del Mondo. Marco Fichera è da tempo tra i ragazzi su cui la scherma italiana punta maggiormente per il futuro. E a Vancouver ha dato un primo assaggio del suo potenziale. Perché arrivare terzo tra i big, battere Max Heinzer, e fermarsi solo davanti a Nikolai Novosjolov, non è cosa da tutti. Anche se ci ha messo un po’ a capirlo.

Sei tornato in Italia, hai avuto tempo per riflettere. Ora hai realizzato quello che hai fatto?
Ho realizzato. Sul momento era una gara come le altre. Tiri e non ti rendi conto di aver fatto un podio in un contesto diverso da quelli in cui c’eri riuscito prima. Sono soprattutto i complimenti delle altre persone a fartelo realizzare. Questo resta comunque un anno di crescita, dedicato alla costruzione di un modo di tirare e di una solidità che mi permettano di continuare così.

C’è stato un momento durante l’assalto in cui hai capito che potevi arrivare parecchio avanti?
La sensazione di poter fare qualcosa di diverso l’ho avuta, inconscia, prima dell’assalto con Heinzer, dopo aver battuto i primi due ragazzi con cui avevo tirato. L’ho anche detto a Dario Chiadò durante la lezione prima dell’assalto: «Qui possiamo divertirci». Ma solo dopo mi sono reso conto che quella frase significava che avevo capito dove potevo arrivare. Anche durante l’assalto non ho mai avuto la sensazione di tirare con un fuoriclasse di livello mondiale come è lui, mai avuto la sensazione di poter perdere, ho sempre pensato e creduto di poterlo battere. Dopo che ho vinto con lui solo un mio errore poteva privarmi del podio.

E quell’errore stava per arrivare. Nel quarto di finale contro Von der Osten ti sei trovato a un passo dall’eliminazione. Poi hai rimontato. Cosa ti è scattato in mente?
Niente di particolare. Sul 14-11 per lui era dispiaciuto perché mi stavo lasciando sfuggire un’occasione importantissima. Si può perdere con tutti nella spada moderna, ma se per entrare nei quattro è sempre meglio incontrare Von der Osten che una testa di serie. Da lì ho costruito le stoccate una per una. Due parate e risposta, poi hanno dato un rosso a lui. Sul 14-14 avevo in mente la stoccata da mettere e sapevo che se l’avessi costruita per bene l’avrei infilata io.

Le hai vinte tutte di una stoccata, un paio alla priorità, mostrando maturità e freddezza. Un buon segnale, no?
A sentire gli altri io sono sempre stato abbastanza freddo nel chiudere l’assalto nel momento in cui serve la testa, all’ultima stoccata o alla priorità. Concretizzo bene queste situazioni. Il cambio di categoria però comporta anche una solidità e una maturità diversa degli avversari. Questa era la giornata giusta, riuscivo a fare quello che sapevo essere la cosa giusta da fare. Alcuni assalti potevo chiuderli prima, ma in certi momenti ho spento la lampadina e mi sono preso pause che a questi livelli non si dovrebbero prendere mai.

Contro Novosjolov, invece, l’assalto ha preso subito una direzione precisa. Troppo forte in questo momento?
Sono salito in pedana appagato, anche inconsciamente. Ma sarebbe andata così comunque. Era la prima volta che tiravo con lui e mi ha confermato quello che finora mi avevano solo raccontato. Solidità tecnica e forza muscolare impressionante. Quando tira così, lui è troppo solido per uno come me, un giovane che deve lavorare ancora tanto. Anche gli errori che ho fatto sono stati comunque indotti da lui.
Nonostante io abbia fatto un risultato, da quello che mi dicono, pazzesco, devo lavorare ancora per migliorare su una crescita generale che mi può portare a essere costante.

Chi ti senti di ringraziare? Chi è stato più importanti per questo tuo risultato?
Sono diverse le persone che lavorando con me giornalmente hanno contribuito a questo risultato. Un grazie va ad Andrea Candiani, il mio maestro, con il quale lavoro quotidianamente. Oltre a lui voglio ringraziare Andrea Lo Coco che mi segue per la preparazione. Infine direi che è doveroso ringraziare Beppe Ferrari, la persona che grazie alla sua abilità fisioterapica mi ha fatto venir fuori da un brutto infortunio al gomito che aveva complicato preparazione e gare da novembre fino a qualche settimana fa. Candiani però non è il mio primo maestro, è quindi doveroso ringraziare Domenico Patti, colui che mi ha cresciuto e che ha, da sempre, creduto in me e ha lavorato con me fino a un anno e mezzo fa. Il nostro rapporto tecnico si è concluso ma l’affetto e la stima rimane quella di sempre.

 

Twitter: GabrieleLippi1

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Fotografia di Augusto Bizzi per Federscherma

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