Campione italiano. Paolo Pizzo è tornato a vincere. E ora non vuole fermarsi. L’intervista a Pianeta Scherma.
Dall’insonnia causata dall’ansia e dalla preoccupazione di non poter partecipare a una gara a cui teneva tantissimo, a quella causata dalla gioia per una vittoria tanto bella quanto inaspettata. La storia personale e agonistica di Paolo Pizzo è fatta di cadute e risalite, di smarrimenti e ritorni, di mostri sfidati e sconfitti, con fatica, ogni volta. Dal tumore al cervello di quando era bambino, fino all’ultimo titolo nazionale, conquistato da 31enne, nella stessa stagione in cui le sue certezze si erano incrinate pericolosamente, con una wild card arrivata a fil di sirena. Alla vigilia della partenza per Strasburgo, dove sabato 7 giugno tirerà la gara individuale degli Europei, il campione catanese si è aperto con noi, raccontandoci le paure, le gioie, i dolori, le speranze. E dedicando l’ennesima risalita a una persona speciale.
Che effetto ti ha fatto tornare a vincere e farlo in una gara importante come il campionato italiano?
Esaltazione totale, perché è il percorso a determinare le sensazioni. Per arrivare a questa vittoria ne ho passate di tutti i colori. Non mi aspettavo un risultato del genere e devo dire che non ci credo ancora. Può sembrare strano, visto che ho vinto anche un Mondiale, ma questa vittoria ha un sapore particolare.
Ancora più bello, forse, perché fino all’ultimo non sapevi se avresti partecipato ai campionati. Come hai vissuto questa incertezza?
Come qualcuno negli ambienti federali sa, non ci ho dormito la notte. Ci tenevo tantissimo, perché erano nella mia Sicilia ma anche perché ho sempre sognato, fin da bambino, di partecipare agli Assoluti e vincerli. Per me era la gara ricevimento e non partecipare per un vizio burocratico sarebbe stata una beffa. Ho dimostrato sul campo quanto ci tenessi e ho smentito chi mi ha criticato.
La gara migliore della stagione, forse la migliore degli ultimi due anni da dopo Londra?
Senza dubbio, anche perché gli avversari sono stati di spessore e non ho avuto un canale facile. Devo rendere onore a tutti i miei avversari che hanno lottato fino all’ultimo, compreso Bertinetti che era sicuramente un outsider e tra l’altro è allenato in Germania da mia sorella, cosa non di secondo piano dal punto di vista mentale per me.
Un anno un po’ difficile all’inizio, poi nella seconda parte di stagione sei andato in crescendo. Tu come la squadra. Qual è stata la svolta?
Personalmente la vittoria di Tallinn, in Coppa del Mondo a squadre. L’abbiamo ottenuta contro formazioni che sembravano imbattibili come l’Ucraina, che non superavamo da anni, la Corea che nella gara precedente ci aveva eliminato con facilità, l’Ungheria in finale, pur priva di alcuni suoi campioni. Lì ho capito che c’ero perché ho tirato tutta la giornata ad altissimo livello e ho cominciato anche un percorso parallelo di dieta che sicuramente mi ha portato degli effetti importanti.
Ora come ti senti fisicamente?
Come anche i miei compagni di Nazionale sono un po’ provato, ma quando ci sono appuntamenti importanti come Europei e Mondiali si deve nascondere questa fatica e far leva sulle sensazioni positive che si hanno. E in questo momento ne ho a profusione.
Hai un obiettivo per l’Europeo? Ti aspetti qualcosa di particolare?
Negli ultimi anni ho sempre risposto dettagliatamente a questa domanda. Ora voglio dire solo che mi aspetto qualcosa di grande. Ho una bella occasione perché ci sono due gare a cui partecipo con buone premesse. Ma non dico altro, più per scaramanzia.
C’è stato un momento in cui hai sentito di toccare il fondo quest’anno?
Sicuramente. È coinciso con l’eliminazione nella fase a gironi del Carroccio, la gara in casa di Coppa del Mondo a cui tenevo tanto. Lì ho pensato seriamente di mettere in discussione tante cose, compresa la carriera. Non per la sconfitta in sé, ma per come è venuta. È stata dura, ma ho qualcosa dentro che mi ha sempre portato a risalire la china anche dopo momenti di sconforto come quello. Oggi lo posso urlare fortissimo: sono caduto e mi sono rialzato ancora e spero di rifarlo altre mille volte.
Parliamo della squadra. Ha cambiato volto tante volte quest’anno. A Strasburgo tirerete per la prima volta con Lorenzo Bruttini in quartetto. Come procede l’integrazione del gruppo?
Per prima cosa bisogna dire che l’ingresso perentorio di Bruttini è sacrosanto e meritato. Ovviamente nella scherma, soprattutto nella spada, non si improvvisa niente. Certamente noi siamo pronti ad accoglierlo e speriamo che sia in giornata come a Berna o Buenos Aires, dove ha dimostrato di essere un atleta di livello top. Se tira così, non ci sono dubbi, tutta la squadra ne trarrà beneficio.
C’è qualcuno in particolare a cui vuoi dedicare questa tua risalita?
La vittoria ad Acireale l’ho dedicata a mia nonna, ma dal punto di vista della vicinanza in questo periodo non posso che ringraziare Lavinia, la mia ragazza. Ha sopportato questo periodo di mia insicurezza, in un modo o nell’altro c’è sempre stata, e la vittoria di sabato è fortemente anche merito suo. Era lì quel giorno, ed era lì nei mesi prima.
Twitter: GabrieleLippi1
Fotografia di Augusto Bizzi per Federscherma