Il lavoro paga

A Tallinn Paolo Pizzo è tornato sul podio in Coppa del Mondo. Ma la squadra non gira come dovrebbe. L’intervista.

 

 

Dopo l’argento europeo e il titolo italiano è arrivato anche il ritorno sul podio in Coppa del Mondo. Paolo Pizzo ha cominciato la nuova stagione dallo stesso punto in cui si era interrotta la precedente, mostrando di aver ritrovato sicurezza nei propri mezzi tecnici e una forma atletica invidiabile. A Tallinn ha infilato vittorie contro avversari come Robeiri e Heinzer, fermandosi solo in semifinale, per una stoccata contro Gauthier Grumier. Nella prova a squadre, però, le cose non vanno altrettanto bene, e sulle qualificazioni olimpiche previste dall’anno prossimo cominciano ad addensarsi nubi gonfie di insicurezze e dubbi. Pianeta Scherma ha intervistato il campione catanese alla vigilia del Gp di Doha.

Non salivi sul podio in Coppa del Mondo da due anni e mezzo. Che effetto ti ha fatto?
Non sono un atleta che fa grandi cerimonie quando conquista i risultati di rilievo, ma so riconoscere quello che mi merito e quello che non mi merito. Stavolta c’è grande soddisfazione perché il podio di Tallinn è l’attestato del lavoro che ho fatto. Mi sono ammazzato durante l’estate, mi sono spaccato la schiena sotto il sole seguito a distanza dal mio preparatore Andrea Lo Coco. E questo nonostante dopo Europei e Mondiali ogni fibra del mio corpo mi chiedeva pace e relax.

A Tallinn è arrivato un bronzo che sembra avere il peso specifico del piombo per via degli avversari che hai affrontato e battuto. È così anche per te?
È chiaro, ci sono podi e podi. Ne ho fatto qualcuno in Coppa del Mondo e questo è stato particolarmente interessante. Non ci sono stati match abbordabili come può capitare a volte. Erano tutti avversari di primissimo livello. Io per fortuna non ho mai paura di nessuno. Questa è una delle gare migliori della mia carriera.

Una sola stoccata ti ha tenuto fuori dalla finale. C’è un po’ di rammarico per non essere arrivato a una finale che, forse, per l’avversario che avresti incontrato, poteva essere l’assalto più semplice della gara?
Non posso dire di non essere felice ma la possibilità di vincere la devi cogliere quando a 31 anni hai una giornata sì e sei più forte di tutti. Soprattutto nella spada puoi essere il più forte in una gara, e la settimana dopo toccherà a un altro. Confermarsi è quasi impossibile. A Tallinn ero il più forte, dovevo vincere. Una Valentina Vezzali non si sarebbe lasciata sfuggire l’occasione, a me manca ancora questo primo successo in una tappa di Coppa del Mondo e non saper cogliere fino in fondo una giornata come quella è ancora un mio limite.

L’argento di Strasburgo, il titolo italiano, il podio in Coppa del Mondo. Tutto in pochi mesi. Quali sono stati i fattori determinanti per tornare su questi livelli?
Dopo il Carroccio della scorsa stagione mi sono fatto tante domande e sono ripartito dalle basi. Alimentazione, preparazione fisica dura, nessuna pausa. Giornate veramente da atleta senza spazio per distrazioni. L’umiltà nel farlo, perché bisogna essere capaci di dimenticare gli allori conquistati prima e ricominciare da zero. Prima di ogni gara mi ripeto che non sono nessuno. Poi c’è la sfera emotiva, dove ho trovato molta tranquillità grazie a Lavinia. Lei è parte fondamentale delle mie giornate. Con lei accanto è più facile sbattersi e faticare.

Il momento della svolta è stato il Gp di Berna della stagione scorsa?
Non sono tanto d’accordo. La svolta è stata giorno per giorno, anche nelle sconfitte venute prima di Berna, finalmente positiva, con la vittoria su Kauter dopo anni che non battevo un top 10. Il bello è stata la gradualità della mia ripresa. Uscire al girone, fare 64, poi 32, 16 e l’argento all’Europeo. Ho bisogno di feedback volta per volta, mirando a una certa costanza, un passo alla volta senza grandi sparate. La svolta è stato il Carroccio, quando ho toccato il fondo perdendo al girone in una gara attesissima in casa. Da lì sono cambiate tante cose e ora non ho intenzione di mollare.

Purtroppo non tutto va bene. Cinque gare di fila senza salire sul podio nella prova a squadre. Ci si aspettava qualcosa in più, ma a Tallinn è arrivato un passo indietro. Cosa sta succedendo?
Sta succedendo che è solo la quarta gara che facciamo con questa formazione. Il livello in Coppa del Mondo assoluta di squadra maschile aumenta di intensità, preparazione e specificità. Niente è più lasciato al caso. Ogni avversario ha un database coi dati delle altre nazionali. Anche noi lo stiamo facendo. Il livello è altissimo e guardando noi stessi non va bene niente. Stiamo lavorando molto ma manca ancora troppo per avere un minimo di solidità e poter pensare in grande. C’è tanto lavoro da fare e non abbiamo paura di farlo.

Cosa bisogna fare?
Da anziano della squadra consiglio a tutti di farsi un esame di coscienza su come si sta lavorando e guardare ai propri obiettivi. Un’Olimpiade non è una partita a carte o un aperitivo. Dobbiamo essere pronti e compatti, e questo deve partire dalla preparazione di ogni singolo atleta.

È il caso di preoccuparsi in vista delle qualificazioni olimpiche?
Partiamo indietro, molto onestamente. Io non mi butto giù, più che preoccupato dico che dobbiamo stare attenti, bisogna essere pronti. La strada sarà indicata dallo staff tecnico di cui ci fidiamo. Il gruppo è disposto a fare di tutto perché non c’è altra possibilità se non limare ogni singolo difetto di ognuno. Io so benissimo che non rendo in una gara a squadre come nell’individuale. Devo essere un punto di forza nella squadra e non un punto interrogativo. C’è qualcuno che ha ancora le idee un po’ confuse, invece qui dobbiamo capire che non siamo niente. Smetterla di parlare di medaglie olimpiche e guardare con rispetto a tutti gli avversari. Umiltà e lavoro.

Tra di voi vi siete parlati per cercare di capire quali sono i problemi?
Ci siamo confrontati e pure spesso, ma quello che si dice nello spogliatoio resta nello spogliatoio. Dico solamente che la voglia di fare c’è in tutti, atleti e staff. Ma riconosco che questo non basta. Bisogna lavorare nel modo giusto, saper ascoltare, cominciare a pensare a questa squadra come qualcosa di importante. Anche per rispetto di chi nel passato ha fatto parte di questa squadra che era fortissima. Al momento stiamo disonorando questa maglia.

Cosa non funziona? Il quartetto, gli uomini, le scelte, l’ordine in cui tirate? O è un fattore esclusivamente psicologico?
So per certo che ci vuole tempo per creare una formazione compatta che se la giochi con tutte le altre squadre. La scherma a squadre è uno sport veramente complesso. C’è un gran lavoro dello staff, c’è chi al video sta lavorando giorno e notte per capire i limiti nostri e delle altre squadre.

 

Twitter: GabrieleLippi1

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Foto di Augusto Bizzi per Federscherma

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