Un sogno chiamato Rio. I ricordi di Londra. L’amore per Livorno. Chiacchierata con l’ azzurra.
Quando, di buon mattino, arriviamo alla palestra del Fides di Livorno, Irene Vecchi sta effettuando il riscaldamento. Corsa, un po’ di esercizi per le gambe e poi via, a fare lezione con il fidato maestro Nicola Zanotti, il demiurgo che l’ha presa per mano quando era bambina e passo dopo passo l’ha condotta nella scherma di alto livello. Con la nuova stagione ormai alle porte è tempo di lavorare sodo: c’è da mettere il punto esclamativo sulla qualificazione olimpica e poi pensare a fare bene nel giorno dei giorni. Quello che tutti sognano di vivere almeno una volta nella vita. Meglio se, come nel caso di Irene Vecchi, anche una seconda volta.
«Avevo bisogno di staccare un po’ ma ora sono pronta a ripartire» ci racconta Irene, appena dopo aver terminato la lezione «ti dirò, sono anche molto curiosa di vedere come andrà a finire questa stagione: se ne parla tantissimo, si parla di Rio, della conclusione di un ciclo olimpico, che rappresenta non solo un punto di arrivo ma anche un nuovo punto di partenza». Ma se la testa, al netto di tutte le scaramanzie è inevitabilmente proiettata verso il Brasile, resta una nuova avventura in Coppa del Mondo da affrontare, con un duplice obiettivo: da una parte conquistare la matematica certezza del pass olimpico, dall’altra provare anche a riscattare un’annata- quella appena andata in archivio con i Mondiali di Mosca – che per la sciabolatrice livornese è stata piuttosto povera di soddisfazioni: «Di certo non sarà una stagione che verrà ricordata negli annali» ammette senza perdere il suo proverbiale sorriso, conscia del fatto che i momenti difficili possono capitare a tutti, anche a Sofya Velikaya, Olga Kharlan e Mariel Zagunis, le tra abitanti dell’attico superiore. Forti, si, ma non imbattibili: «Vero, al momento sono un piano sopra tutte ma, quando si tira a quel livello, poco importa se abiti al primo o al quinto piano. Si è tutte sullo stesso livello, tutte con le nostre forze e le nostre debolezze. Ognuna di noi ha le proprie carte nel mazzo, ciò che conta è giocarsele al meglio. Io sono dell’idea che nessuna è imbattibile, anche se alcune sono più forti e altre meno: ma le paure che un giorno prendono me, un altro giorno possono prendere l’una o l’altra delle mie avversarie».
La nostra chiacchierata scivola inevitabilmente verso il tema Giochi Olimpici e il ricordo vola veloce indietro alle giornate di Londra 2012. «Mi sembrava di essere una bambina al parco giochi!», ci racconta entusiasta mentre la sua espressione si riempie di gioia e i ricordi sgorgano come fiume in piena «Tutto quello che accadeva in quei momenti, dalla sveglia del mattino alla sera quando si tornava a letto, era un qualcosa di inimmaginabile. E poi…Londra, me la sono proprio goduta da turista come mai mi era capitato in vita mia! Per non parlare del villaggio olimpico, un qualcosa da mozzare il fiato! È stato tutto così bello che non posso che serbare ricordi positivi. Ricordo ancora come venivano scandite le mie giornate: la sveglia, la colazione, quindi il pullman per andare alla sala d’allemento, uno spazio immenso in un’università. Fu così per tutti i giorni, fino a quello fatidico della gara». Già, la gara. Anzi, la Gara. La summa del lavoro di quattro anni, cartucce da sparare in poche ore in cui il confine fra la gloria e la polvere è un filo così sottile che pare potersi spezzare anche solo al semplice sguardo.
Le cronache tramandano di un buon piazzamento fra le prime otto, stoppata ai quarti di finale da Olga Kharlan, ma quello che ci premeva sapere da Irene erano le emozioni di quel giorno: «La gara era alle due del pomeriggio e fin dal giorno in cui avevo avuto certezza della qualifica vivevo con il timore che non avrei dormito. Continuavo a ripetermi “Oddio, alle tre del mattino avrò già gli occhi pallati, come farò?”; e invece mi sono tranquillamente svegliata alle nove e mezzo, ho fatto colazione, e poi mi sono avviata verso il pullman per il palazzetto. Ricordo ancora la faccia stupita di Nicola quando gli chiesi se stavamo andando a fare la gara o l’allenamento (ride, ndr). Poi però, una volta entrata a palazzetto e cominciato il riscaldamento, mi è venuta un po’ di cacarella (altra risata, più fragorosa ndr). Oltretutto, la mia prima avversaria era una britannica, e quando fecero il suo nome ci fu un boato enorme, sembrava venisse giù il palazzetto! Quando poi si è spalancato il tendone che dava sulla sala di gara, ho visto tutto buio e solo le pedane illuminate. Un rapido scambio di sguardi con Nicola – che mi ha detto di andare tranquilla- e poi via!».
Se però davvero si vuole vedere la luce negli occhi di Irene, il tasto da toccare è quello della livornesità. Molto più che una città, Livorno, per lei. Ma un carapace, un habitat ovattato nel quale forgiare al meglio il suo talento schermistico: «Senti, a me Livorno piace tanto! Ma tanto!» ci dice con tono perentorio «in molti mi dicono che è una cittá piccola, ma io ci sto benissimo. La livornesitá è una parte imprescindibile di me. Ci sono scene e scorci di vita quotidiana a cui puoi assistere solo qui! Bobo Rondelli, cantante livornese doc, in una sua canzone canta: “Bella Livorno, mi fermo qui” Perchè chi viene qui, ci mette le radici!» E poi c’è la palestra del Fides, la sua seconda casa. Da una parte una società prestigiosa, che ha dato tanto allo sport italiano in termini di gloria e medaglie; dall’altra una grande famiglia, «tanti piccoli “cuginetti” sempre pronti a sostenerti nei momenti difficili ma anche a spronarti per dare ogni volta sempre qualcosa in più. In questa palestra sudi, fatichi, piangi, ti sbatti, ma sai sempre che puoi contare su dei compagni di sala meravigliosi».
Per molti dei quali, è diventata un riferimento, un’ispirazione. La bambina che è cresciuta ammirando i grandi campioni della scuola livornese – su tutti, Aldo Montano – ora è diventata una campionessa ed è un faro per tante altre piccole e giovani schermitrici che sognano di ripercorrerne le orme: «Mi piace stare in contatto con loro, perché mi rivedo in me da piccola. Ora nello spogliatoio femminile sono un riferimento, le bambine mi cercano e si confidano molto con me, e se c’è qualche pettegolezzo, sono la prima a saperlo…» E il futuro cosa riserva Irene Vecchi, ora che è entrata in una nuova fase della sua carriera? «Indubbiamente non sono più l’esordiente che non ha nulla da perdere. Tante cose sono cambiate da quando mi buttarono in prima squadra a sedici anni, quando avevo poco o nulla da perdere e tutto da guadagnare. Ora che sono arrivata al giro di boa, bisogna solo guardare dritti al traguardo, senza guardarsi indietro. Però ancora non lo so quale sarà questo traguardo, c’è ancora tempo prima di decidere cosa farò da grande…»
Twitter: agenna85
Fotografiie Alessandro Gennari per Pianeta Scherma (salvo dove diversamente indicato)