L’ultima gara della Vezzali segna la fine di un’epoca. Che, per chi scrive, occupa lo spazio di una vita. Da amante della scherma, tifoso e giornalista. Lettera aperta alla più grande di sempre.
Cara Valentina,
il tempo, talvolta, fa il suo dovere. Magari ci mette più di quanto sarebbe stato logico aspettarsi, ma alla fine presenta il conto. Venti anni fa, io e te, abbiamo condiviso la prima Olimpiade. Tu in pedana, io sul divano, alle prese con un fuso orario impegnativo per un dodicenne, a osservarti.
Avevi i capelli tinti di rosso, lo ricordo, 22 anni e la forza di una ragazza giovanissima che sentiva di potersi mangiare il mondo, anche se forse non ne era ancora completamente consapevole.
Quella volta non vincesti, ti fermasti al secondo posto, battuta da Laurea Badea, ma fu subito chiaro cosa saresti diventata.
Cara Valentina, non elencherò i tuoi ori, argenti e bronzi. L’hanno già fatto tutti, e sono sicuro che non ci sia bisogno di farlo ancora. Tanto li ricordi tutti, uno per uno, e sono sicuro che ricordi anche le (poche) sconfitte che hai dovuto mandare giù.
Quello che voglio raccontare, qui, è cosa hai significato per un ragazzo cresciuto nel tuo mito, tra i Novanta e i Duemila. Non c’è nessuno sport bello come la scherma, e io non ho mai conosciuto la scherma senza Valentina Vezzali. Ecco perché, per me, tu sei lo sport. È un banale sillogismo.
Se devo pensare a un’espressione che ti identifichi è un urlo. Con la maschera strappata via dal volto e la bocca spalancata, piegata sulle ginocchia, con la punta del fioretto verso l’alta. Augusto Bizzi ti ha ritratta così anche la sera della tua ultima gara, a 42 anni come quando ne avevi 20, alla 29esima finale tra Mondiali e Olimpiadi come alla prima. La stessa identica faccia, la stessa smorfia di fatica che diventa gioia. Un volto che per tanto tempo è stato la mia immagine sul profilo gmail.
Sei stata la scherma, Valentina, e la scherma non potrà mai essere la stessa senza te. Ho amato alla follia ogni tua uscita in tempo, ogni tua stoccata. E come ogni amore, anche questo, ha vissuto i suoi alti e bassi, qualche sbandata presa qua e là. Come nel 2006, a Torino, quando perdesti la finale dei Mondiali contro Margherita Granbassi. Non dubitai di te, ma pensai che dopo 10 anni di dominio e monogamia sportiva, non ci fosse niente di male in un piccolo cambiamento. Una sorta di crisi del decimo anno, ma è proprio nella sconfitta che ti ho riscoperta ancor più grande di prima.
Si dice che, per non estinguersi, sia necessario evolversi, cambiare pelle. Tu hai continuato a tirare la tua scherma, fatta di attendismo e uscite in tempo. E non hai mai smesso di vincere. L’hai fatto a Lipsia, nel 2005, quattro mesi dopo esser diventata mamma di Pietro. Nemmeno il più folle dei bookmaker avrebbe potuto prevederlo. A San Pietroburgo, nel 2007, prendendoti la rivincita sulla Granbassi. E a Pechino, nel 2008, prendendoti il tuo terzo oro olimpico di fila.
Poi sei cambiata anche tu. Non nel modo di stare in pedana, ma nell’approccio all’assalto. Su quel volto serio ha cominciato a disegnarsi, sempre più convinto, un sorriso. E mentre Elisa Di Francisca e Arianna Errigo diventavano le avversarie più temibili che avessi mai incrociato, le scoprivi anche come compagne di squadra. E quei balletti prima di ogni match, che all’inizio ti facevano storcere il naso, hanno cominciato a diventare sempre più naturali e divertenti anche per te.
Elisa e Arianna ti hanno preceduta sul podio a Londra 2012, ma facendolo, inconsapevolmente, ti hanno permesso di centrare una delle più grandi imprese della tua carriera sportiva, con quelle quattro stoccate recuperate alla Nam in 12 secondi, per aggrapparti a un bronzo che avevi voluto con tutta te stessa, per portare il tricolore sul podio, dopo averlo accompagnato alla cerimonia di inaugurazione. Elisa e Arianna ti hanno tolto anche il pass per Rio 2016, spezzando il sogno della sesta Olimpiade, 20 anni dopo la prima. Ma ti sono state accanto anche nell’ultima gara, dedicandoti uno dei loro balletti, trasformandoti in Vezzalão Meravilhão e portandoti in trionfo davanti alle avversarie.
Vent’anni, Valentina, sono passati vent’anni. E il tempo ha fatto il suo dovere, scrivendo l’ultima parola di una storia bellissima, quella del più forte di tutti i Dream Team, di una squadra senza eguali e che, forse, non sarà mai pareggiato. Una storia che finisce a Rio, non con un’Olimpiade, per colpa di una stupida regola che non ha senso di esistere, ma con un Mondiale, non con un oro, ma con un più raro argento, perché forse sarebbe stato troppo banale salutare tutti dal gradino più alto del podio. Una storia che finisce per permettere a un’altra storia di iniziare.
A 42 anni è giunta l’ora di dire basta, di «togliere la maschera e appendere il fioretto al chiodo», come hai detto nel tuo video d’addio, trattenendo a stento le lacrime mentre la voce si incrinava. «Nella scherma, oltre al senso della misura, è fondamentale una buona scelta di tempo». Il senso della misura, forse, non l’hai mai avuto. Sei stata esagerata, sempre. La scelta di tempo, però, è esattamente il tuo punto forte. E anche se fa male, anche se d’ora in avanti non sarà più la stessa cosa, consola sapere che era giusto così.
Grazie di tutto, Valentina, da un tifoso che ha avuto l’onore di raccontare una parte del tuo percorso straordinario.
Gabriele
Twitter: GabrieleLippi1
Fotografia di Augusto Bizzi per Federscherma
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