Non è mai troppo tardi

Per vincere, ma anche per dare vita a rimonte quando tutto sembra perduto. Perché nello sport come nella vita niente è vero come la frase “partita finisce quando arbitro fischia”. 

 

Non è mai troppo tardi. Nella vita come nello sport. Deve averlo pensato anche Geza Imre, che un anno fa, a 41 anni, vinceva il suo primo titolo mondiale individuale in carriera e che ieri, a 42, è stato a un passo dal bis olimpico, 20 anni dopo il bronzo di Atlanta. Voleva quell’oro, Geza, per completare una carriera straordinaria in cui è stato anche campione europeo individuale e ha vinto tanto con la squadra ungherese, e siccome la spada è l’arma più longeva di tutte, se l’era praticamente preso alla sua quinta Olimpiade. Quattordici a dieci. Sembrava fatta.

Il problema è che quella stessa frase deve esser risuonata anche nella testa di Parka Sangyong. Perché nella scherma non è mai troppo tardi, almeno finché non arriva la quindicesima stoccata, e il coreano, a 1 punto dalla sconfitta e 5 dalla vittoria, ha scelto di imboccare la strada più lunga. A mezzo metro dal traguardo, Imre ha spento la luce della razionalità, spinto dall’irrefrenabile voglia di fare quell’ultimo decisivo passo il prima possibile. La fretta, si sa, è cattiva consigliera, e la peggior nemica dello spadista. Park, dal canto suo, ha dato fondo a un repertorio schermistico che a 21 anni è già straordinariamente completo, fatto di quelle fléche profondissime tipicamente coreane, ma anche di più ortodossi arresti e parata messi con misura e tempo perfetti. Così, tra un attacco, una seconda e risposta, e una stoccata alla spalla sull’avanzata dell’avversario, si è compiuta la rimonta.

L’ennesima di un’Olimpiade all’insegna del “non è mai troppo tardi”. Chiedete a Rossella Fiamingo, che ha perso la finale per l’oro con Emese Szasz nonostante un vantaggio di +4 sul 10-6. Chiedete a Giorgio Avola, che sopra 14-8 con Massialas ha subito uno 0-6 mortifero per i suoi sogni di medaglia. Chiedete anche a Daniele Garozzo cosa gli è passato per la testa quando, avanti anche lui 14-8, ne ha prese tre di fila dallo stesso americano che aveva già beffato Avola, prima si rintuzzare la rimonta scegliendo la più spettacolare delle stoccate alla schiena dell’avversario in fuga per il 15-11. O a Manon Brunet, che contro Sofya Velikaya avrebbe anche messo la botta della vittoria, ma se l’è vista togliere, per poi subire il parziale che dal 14-13 l’ha portata al 15-14 e dalla finale l’ha condotta ai piedi del podio.

Sì, la scherma è bellissima e crudele. Allo stesso tempo. Dipende dal lato da cui la guardi. Se da quello del 42enne che si ferma a un passo dal suo primo oro nella sua ultima Olimpiade, o da quello del 21enne che diventa campione all’esordio quando ormai sembrava condannato a un comunque onorevolissimo argento. È tutta questione di prospettiva. È tutta questione di sport.

Twitter: GabrieleLippi1

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Fotografia Augusto Bizzi per Federscherma
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