Nello sport come nella vita l’età è solo un dato relativo. E ieri Imre lo ha dimostrato.
Vecchi si diventa dentro. Vale per la vita, ma anche per Geza Imre che a quarantadue anni svela, sulla piazza più pubblica che c’è, il segreto dell’eterna giovinezza. Lo sport – il nostro in particolare, che richiede sì una buona integrità fisica ma soprattutto una solida forza mentale – logora i suoi protagonisti prima nell’animo e solo più tardi, molto più tardi, nel corpo.
Il fatto è che si comincia presto, il campo di battaglia si apre, per chi è destinato ai più alti livelli, intorno ai quindici-sedici anni e la pugna si protrae per una media che si aggira intorno alla ventina d’anni o poco meno. In tutto questo tempo succedono cose, si vivono le normali fantasmagoriche esperienze dell’esistenza, in sintesi si cresce mutando prospettive e scala di valori. Ciò che è importantissimo e totalizzante a vent’anni – la vanità del vincere, il piacere furibondo dell’attaccare briga con le spade – diventa progressivamente, a volte improvvisamente, futile. C’è chi diventa padre o madre, chi viaggiando lungo la vita scopre nuove terre e nuove passioni. O, più semplicemente, chi si stanca di fare sempre la stessa cosa. Anche le passioni hanno un loro ciclo vitale. La cosa più difficile, per uno sportivo vecchio (ultratrentenne) è ridefinire le proprie motivazioni. Il disincanto che sostituisce l’illusione (di cui si nutre la tensione monomaniacale dell’atleta giovane) è un’importantissima potenziale risorsa, che a volte si lascia spegnere prima d’averne sperimentato il valore. Consapevolezza ed esperienza rendono più lucido e divertente il gioco: quel minimo che perde il corpo è compensato dall’enorme surplus portato da una mente che è al meglio di sé, capace di contagiarsi di follia – quella necessaria a immergersi nel clima deformato della gara – conservando quel distacco che rende meno drammatica, ultimativa, la scelta.
Imre, che supera la quarantina e inizia a vincere, non è l’unico caso che abbiamo avuto davanti agli occhi. Per vie traverse, ciascuno tramite un suo percorso personale, molti altri campioni hanno dato folgoranti esempi di longevità. Pensiamo alla Vezzali, sempre più apparentemente consumata sempre più stupefacente nel portare a termine imprese da fenomeno, pensiamo a Tarantino che a quarant’anni – più bue che atleta – le suonava di brutto ad avversari che avrebbero potuto essere (e forse sono) suoi figli. Vecchi si diventa dentro. Vale per la vita, vale per lo sport.
Dino Meglio
Fotografie di Augusto Bizzi per Federscherma
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