Chiamato per risollevare le sorti del fioretto russo, lo jesino, assieme a uno staff tutto italiano, ha vinto la sfida.
Quattro anni fa, dopo aver chiuso in maniera trionfale il ciclo olimpico culminato con Londra 2012, la scelta di lasciare l’Italia e intraprendere una nuova sfida: quella di rilanciare il fioretto russo, che proprio da Londra era uscito a pezzi, con il solo argento delle ragazze nella gara a squadre a salvare un bilancio che piangeva. E allora ecco l’idea di affidarsi a chi, per anni, aveva fatto le fortune dell’Italia, a quel sanguigno jesino che, dapprima in pedana, poi come Ct ha portato tanta moneta sonante alla causa dell’Italfioretto. Facendogli i ponti d’oro e la più classica offerta che non si può rifiutare.
E ora che sui Giochi brasiliani si è chiuso il sipario, il bilancio di Stefano Cerioni e del suo staff tutto italiano – cui avevamo già dedicato a suo tempo un approfondimento – non può che essere assolutamente positivo. Anzi, un vero e proprio trionfo su tutta la linea. Il coronamento di un lavoro iniziato fra mille difficoltà, a partire da quella basilare, ovvero la barriera linguistica, superata facendo ricorso a un’interprete che rendeva il Cerioni pensiero comprensibile a chi avrebbe dovuto metterlo in pratica. Ma, problema decisamente più spinoso, si è trovato a fare i conti con un materiale umano ottimo sotto il punto di vista qualitativo ma scarso sotto quello quantitativo. Fatta di necessità virtù, da lì ha cominciato il suo lavoro, affiancato dallo stesso staff che aveva contribuito alla grandeur azzurra, ovvero il maestro Giovanni Bortolaso e il preparatore atletico Maurizio Zomparelli, concentrandosi tanto sull’aspetto tattico/tecnico, quanto su quello atletico. Ed è proprio il meticoloso operato svolto sotto questo aspetto – prima del tutto o quasi trascurato – ad avere dato la marcia in più ai fiorettisti russi
E malgrado qualche difficoltà in partenza, i risultati non hanno tardato ad arrivare: nel 2014, ai Mondiali di Kazan, il titolo individuale di Alexei Cheremisinov, arrivato 19 anni dopo l’ultimo firmato da Dmitry Shevchenko nel 1995. Nel 2015, quindi, il titolo iridato al femminile grazie ad Inna Deriglazova, a spezzare una catena azzurra cominciata nel 2010 e protrattasi per cinque anni fra Mondiali ed Olimpiadi. A completare quella giornata trionfale, l’argento di Aida Shanaeva, che proprio nel 2009 fu l’ultima non italiana a salire sul gradino più alto del podio. E, ancora, i successi del 2016 sempre grazie alle ragazze, che inanellano la doppietta Mondiale ed Europeo. Ricco antipasto della sontuosa portata principale, unico italiano a nuotare nell’oro nell’arma più italiana delle ultime stagioni.
Nel giorno di gloria di Daniele Garozzo, Timur Safin si è dimostrato prospetto di grande futuro malgrado la netta sconfitta subita proprio dal futuro campione Olimpico. E poi il capolavoro firmato da una Deriglazova straripante, ingiocabile per tutte salvo per una leonessa jesina, andata vicina a farle rivedere gli incubi di un caldo giugno strasburghese del 2014 quando Elisa Di Francisca firmò la più clamorosa delle rimonte, beffando sulla linea del traguardo (45-44 da 38-44) l’avversaria che vedeva lo striscione ormai vicino. E da ultimo, proprio nel giorno in cui il quartetto azzurro portato da lui al trionfo quattro anni prima si scioglieva come neve al sole, psicologicamente prima che tecnicamente, il capolavoro nella prova a squadre maschile. Vinta con carattere, quello che ha permesso di racciuffare una Francia avanti di nove stoccate e prenderla a spallate fino a farla crollare sul più bello.
Fino al trionfo da festeggiare a centro pedana con i suoi ragazzi, ciliegina sulla torta di una Olimpiade già ricca di soddisfazioni. E a distanza di tre anni dall’inizio di quella sfida sì ben remunerata ma altrettanto ricca di rischi e incognite, si può dire che per Stefano Cerioni la missione sia stata perfettamente compiuta.
Twitter: agenna85
Fotografie di Augusto Bizzi per Federscherma
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