Partita per riscattare lo 0 di Londra, la Francia può tornare a respirare. Ma non senza delusioni.
Prima della partenza per il Brasile, il direttore tecnico francese Christian Peeters aveva avuto richieste ben precise in fatto di medaglie che si attendeva dalla spedizione transalpina a Rio: quattro medaglie, di cui almeno due d’oro. Troppa l’onta dello zero di Londra, di un fallimento completo per una federazione che ha portato alla causa dello sport francese la bellezza di 115 medaglie olimpiche. Un fallimento che si può dire vendicato, sebbene il bottino preventivato non sia arrivato. Tre medaglie, di cui un oro, e un paio sfumate sul più bello, molte conferme, qualche leita novella ma anche alcune delusioni a cui però c’è tutto il tempo per porre rimedio: così esce la Francia da Rio 2016.
La conferma è ovviamente quella della spada maschile, che dopo Atene 2004 e Pechino 2008, completa il suo filotto di vittorie interrotto soltanto dalla mancata disputa della gara a squadre a Londra quattro anni fa. Impressionante la dimostrazione di forza dei ragazzi di Obry – che lascia nel migliore dei modi la guida della nazionale – nella finale contro gli azzurri, un meccanismo pressochè perfetto, così come perfetto è stato il mix fra elementi più giovani ormai giunti a maturazione (Daniel Jerent e Yannick Borel) e vecchie volpi della pedana come Gauthier Grumier, bronzo individuale, e l’eterno Jean Michel Lucenay, che a 38 anni si prende finalmente da protagonista quell’oro che a Pechino non ha potuto avere in quanto mai impiegato per tutta la gara. Oro doveva essere e oro è stato per loro, bravi a gestire anche la grande pressione che gravava sulle loro spalle e a uscire alla grande dal confronto con un quartetto, quello italiano, fino a quel momento perfetto.
Alla voce rammarico, invece vanno invece iscritti l’argento dei fiorettisti e i “legni” di Manon Brunet e Lauren Rembi. Erwann Le Pechoux e compagni pagano purtroppo il black out arrivato nell’ultima parte di assalto, con Cadot prima e Tony Helissay poi che crollano sotto le spallate potenti dei ragazzi di Cerioni. Un peccato, perchè sino a quel momento i francesi stavano dominando l’incontro dopo aver già domato in semifinale l’Italia. Resta sempre la consolazione di una medaglia, cosa che purtroppo non possono raccontare le due ragazze. Non Manon Brunet, che arriva a una stoccata dal colpaccio prima di cedere all’esperienza di Sofya Velikaya in semifinale e alla rabbia di Olga Kharlan nella finalina fra le deluse; non Lauren Rembi, che lotta ad armi pari con Yiwen Sun ma poi è costretta a lasciare assalto e medaglia di bronzo alla talentuosa cinese. Laddove conta solo andare a medaglia, l’uscire a testa alta o essere applaudite per una gara comunque di altissimo profilo, sono ben magre consolazioni. Come quella del futuro dalla loro parte, anche se questa è un’ottima certezza da cui ripartire per le prossime sfide.
Detto della buona prova di Vincent Anstett nella sciabola maschile e delle due fiorettiste (Astrid Guyart e Ysaora Thibus) finite troppo presto nelle grinfie delle russe, resta una sola vera delusione, ovvero quello delle ragazze della sciabola. Sgambettate dall’ottima prova delle azzurre e dalla tensione di dover disputare una gara su cui si sono puntate tutte le proprie fiches, vittime anche loro di quella strana bestia chiamata Olimpiade che prima di Cecilia Berder e compagne (Manon Brunet, Saoussen Boudiaf, Charlotte Lembach) aveva respinto due campionesse del calibro di Arianna Errigo e Olga Kharlan ma anche un fuoriclasse assoluto come Andrea Cassarà. Un crollo mentale più che tecnico, chiosato anche dall’ottavo posto finale che non rispecchia per nulla il valore di un quartetto in grado in più occasioni di mettere in difficoltà persino il Dream Team della Russia.
Twitter: agenna85
Fotografia di Augusto Bizzi
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