Malgrado non siano arrivati ori, per gli Stati Uniti l’Olimpiade di Rio è stata positiva. Soprattutto in ottica futura.
Il medagliere finale recita due argenti e due bronzi. Quattro medaglie totali, come l’Italia e l’Ungheria, e la bellezza di 9 atleti su 17 a salire sul podio. Sono questi alcuni dei numeri e delle statistiche messe a referto dalla scherma americana alle Olimpiadi di Rio 2016: terzo risultato di sempre ai Giochi e quinto posto nella speciale classifica delle medaglie portate in dote alla causa da tutti gli sport olimpici. Meglio della scherma solo l’atletica, il nuoto, la ginnastica e il ciclismo, che però non solo potevano contare su una gamma decisamente maggiore di gare ma anche e soprattutto su veri e propri mostri sacri del calibro di Michael Phelps, Katy Ledecky o Simone Biles, che a Rio hanno sbancato il forziere.
E anche se è mancato il bottino grosso, solo sfiorato da Alexander Massialas e Daryl Homer – nota a margine, entrambi sono stati finalista l’anno prima ai Mondiali di Mosca, anche lì battuti – in casa Stati Uniti non si può fare altro che sorridere ed essere orgogliosi. Proud, come dicono da quelle parti. E come dice anche Kate Reisinger, Director of Sports Performance della Federazione Scherma americana: «Il successo degli schermidori degli Stati Uniti a Rio 2016, non sarebbe stato possibile senza l’apporto di tutti i tiratori che sono venuti prima di loro, che meritano la citazione e i complimenti per tutti i nostri attuali risultati». E proprio queste parole della Reisinger, in riferimento al passato come strumento per la costruzione di un presente fatto di successi, la chiave per capire come Rio può essere un nuovo punto di partenza per un futuro ancora più ricco di trofei.
Perché le imprese di Alexander Massialas – primo uomo statunitense a centrare due medaglie in un’unica Olimpiade, impresa invece riuscita al femminile a Mariel Zagunis nel 2008 – o Daryl Homer – miglior risultato ottenuto da uno sciabolatore americano a un’Olimpidae – o Ibtihay Muhammad, divenuta quest’ultima la prima atleta americana ad andare a medaglia indossando in gara l’hijab non possono e non devono rimanere fini a sé stesse o soltanto belle storie da tramandare ai posteri. E allora come trasformare in oro due argenti o due bronzi? Lo spiega benissimo un articolo pubblicato dall’autorevole Usa Today nell’immediato post dell’argento vinto da Homer: una volta tornati a casa, si legge, gli eroi di Rio non riporranno le loro medaglie nel cassetto ma le porteranno in giro nelle scuole e nelle sale d’armi, e racconteranno delle loro imprese, condividendo esperienze ed emozioni nella speranza di ispirare nuove generazioni. Tim Morehouse, argento nella sciabola a squadre a Pechino 2008, ha postato sul suo account Instagram il video di una sua giovane allieva di soli otto anni che, dopo aver visto in gara Mariel Zagunis, si è posta come obiettivo quello di vincere un giorno l’oro olimpico proprio come riuscito due volte alla sua beniamina e ispiratrice.
Ecco la vera vittoria degli Stati Uniti a Rio. E chissà quanti, come la piccola aspirante Mariel Zagunis, hanno sentito l’ispirazione di provare a impugnare un arma e calarsi la maschera per scendere in pedana dopo aver visto in gara i campioni a Rio De Janeiro. Guidati, magari, da chi in pedana ci ha vinto medaglie Mondiali e Olimpiche. Peter Westbrook, dopo aver posto fine a una carriera che gli ha portato in dote fra le altre il bronzo olimpico a Los Angeles, ha dato vita a una sua scuola con lo scopo di insegnare la scherma ai ragazzi di Harlem: da lì han mosso i primi passi, fra gli altri, Keeth Smart e sua sorella Erinn, ma anche Nzingha Prescod e i già citati Daryl Homer e Ibtihaj Muhammad. E se medaglia chiama medaglia, in Brasile i ragazzi americani hanno posto delle belle fondamenta per dare alla propria Nazione un futuro sempre più ricco in termini di trofei e medaglie.
Twitter: agenna85
Fotografia US Fencinf/Facebook
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