Beatrice Vio è oro alle Paralimpiadi. Gara dominata dall’inizio alla fine. Ora la veneta è campionessa di tutto.
Ci sono persone che nascono per fare grandi cose. Magari la vita riserva loro una strada un po’ meno convenzionale e un po’ più difficile da percorrere, ma è solo per rendere ancora più speciale il viaggio verso il traguardo. Beatrice Vio è nata per infilare una stoccata dietro l’altra col suo fioretto, per vincere tutto e farlo subito, e non importa se per riuscirci è passata per una malattia che l’ha portata a un passo dalla morte e all’amputazione di tutti e quattro gli arti.
A 19 anni, Bebe può già dire di aver chiuso i conti col destino. A Rio 2016 ha conquistato il titolo paralimpico nel fioretto categoria B, e l’ha fatto a modo suo, lasciando solo le briciole alle avversarie incontrate lungo il cammino. In finale 15-7 alla Zhao, partendo a razzo, resistendo al tentativo di rimonta dell’avversaria, ripartendo più convinta di prima. Il tutto dopo essersi liberata in semifinale della campionessa paralimpica di Londra Yao (bronzo poi a Rio) col punteggio di 15-1, aver battuto nei quarti la polacca Makowska per 15-6, aver dominato il girone con 5 vittorie su 5 assalti, tutte rigorosamente per 5-0.
Bebe è così, non vince, stravince. Ha appena superato la maggiore età e può già dire di essere campionessa italiana, europea, mondiale e paralimpica. Non c’è un solo titolo che le è sfuggito, e tra il 2014 e il 2016 ha ottenuto 12 vittorie su 13 gare, finendo seconda solo nell’ultima gara di Coppa del Mondo a Varsavia, in una sorta di piccolo incidente di percorso pre-Rio.
Nemmeno l’emozione della prima Paralimpiade da atleta, nemmeno un’attesa lunga quattro anni (forse era già pronta per Londra, a 15 anni, ma si dovette “accontentare” di portare la torcia olimpica) sono riuscite a distrarla dal suo obiettivo. Stavolta non c’è stato il blocco psicologico che la colse al suo primo Mondiale, a Budapest, nel 2013. Allora furono lacrime amare, oggi sono lacrime di gioia. Di una gioia speciale, mai provata prima. Perché si può anche vincere ogni gara, ma la Paralimpiade è la Paralimpiade. E quell’oro non poteva trovare collo migliore su cui finire.
Twitter: GabrieleLippi1
Fotografia Augusto Bizzi per Federscherma