L’ultima sfida di Rigin: «Voglio le Olimpiadi»

Una carriera lunga, ricca di successi ma anche di sconfitte ed ostacoli: il fiorettista russo si racconta.

 

Nato in Siberia e cresciuto a San Pietroburgo, vincitore di due Universiadi e di quattro tappe di Coppa del Mondo, tra cui un Grand Prix, ed autore, insieme ai suoi compagni, della prima vittoria della Coppa del Mondo per la squadra russa. Al percorso di Dmitrij Rigin manca solo l’Olimpiade. La domenica piovosa parigina vede salire sulle pedane dello stadio Coubertin le squadre ma il fiorettista russo non tira. «Il coach ha pensato di far allenare i giovani», ci dice mentre percorriamo i corridoi labirintici che portano alla sala stampa. Fuori dalla pedana, su cui ha spesso mostrato scherma ed attitudine nervose, Rigin esprime una determinazione serena.

Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?
Ho un solo obiettivo: proverò a qualificarmi alle Olimpiadi, perché per ogni atleta è il risultato più importante che esista. Proverò a fare del mio meglio per riuscirci, perché non ho mai partecipato, ma voglio farlo.

Volevo chiederti proprio questo, prima di Rio eri l’atleta migliore nel ranking in Russia, e poi non sei andato, perché?
Sì non ho avuto la possibilità di andare per questa storia del doping.

Il rapporto McLaren?
Sì esatto, ero nel rapporto McLaren. Dopo sei mesi hanno fatto delle indagini al riguardo e mi hanno detto scusaci, sei pulito, ci dispiace (ride, ndr). Ma in quel momento, mancavano forse quattro giorni all’inizio di Rio, non c’era nessuna… (in sala stampa passa il fotografo Augusto Bizzi e Rigin si gira per complimentarsi «molto belle le foto di Foconi», ndr) dicevo, non c’era nessuna possibilità di fare niente, perché non c’era abbastanza tempo per fare delle indagini.

È un peccato che sia successo appena prima delle Olimpiadi.
Sì, gli organizzatori sono stati molto furbi (ride, ndr). So che in alcuni sport c’è un problema con il doping, non solo in Russia ma in molti Paesi. Nella scherma però, ho un buon rapporto con Andrea Baldini, e conosco la sua storia, non posso pensare che abbia preso qualcosa prima delle Olimpiadi perché era fortissimo e sarebbe stato stupido. Davvero non riesco a immaginare che qualche schermidore possa prendere qualcosa per migliorare i propri risultati. Se sono molto veloce, ma non nel momento giusto, nella giusta azione, perdo.

Ho visto che hai degli impegni nella scherma al di fuori della vita d’atleta?
Ora lavoro nella regione Nord-Occidentale, io sono di San Pietroburgo. La Russia è divisa in cinque grandi regioni, e io sono a capo del centro schermistico dell’area Nord-Ovest. È come una sorta di fondazione che si occupa di aiutare i club, i ragazzi ed i maestri nel loro lavoro. Dovrò organizzare delle iniziative, delle gare, dar loro l’attrezzatura. È come un lavoro di management sportivo.

Ti piace questo lavoro?
Ho appena iniziato, in estate, saranno sei mesi. È una cosa  nuova, è sempre interessante fare qualcosa di nuovo, specialmente nel mio sport perché mi piace e vorrei davvero che fosse più popolare di ora. Penso che in Italia la situazione sia un po’ migliore ma comunque non così popolare.

Sì insomma, in Italia ruota tutto intorno al calcio, un po’ la pallavolo tra i “minori”, ma non molto il resto.
Ma la scherma potrebbe essere più popolare! Non sarà mai popolare quanto il calcio, per esempio, perché chiunque può prendere una palla e andare fuori a giocare. Ma magari potrebbe diventare un po’ come il golf o il tennis, un po’ più vicino ma non per tutti. Potrebbe raggiungere un livello di maggiore popolarità.

Cosa pensi del ruolo sociale della scherma? In Italia è ancora visto come uno sport d’élite. Pensi che qualcosa possa essere cambiato in questo senso? E che in Russia sia lo stesso?
Generalmente in Russia abbiamo club gratuiti, i ragazzi non pagano lezioni e allenamento. Ora ci sono due o tre club privati, nei quali devi pagare. Ma normalmente sono statali. È un programma del governo per migliorare la salute pubblica, per dare ai ragazzi qualcosa da fare e non farli andare in strada e uccidere qualcuno o cose del genere (ride, ndr). Ma l’attrezzatura è comunque cara, bisogna comunque pagarla.

Sì certo è necessario acquistarla se si vuole andare avanti.
Sì ma la vita generalmente è ingiusta (ride, ndr). In questo mondo abbiamo il denaro, e devi averlo per fare qualcosa, non è possibile vivere gratuitamente, sfortunatamente. Ma in Russia la scherma non è così cara, è accessibile. D’altro canto quando tutto è gratuito…per esempio, che io sappia a volte i club privati lavorano meglio di quelli statali, perché guadagnano, e le persone che vanno lì pagano e sanno che riceveranno in cambio qualcosa per questi soldi, e un’attenzione adeguata, quindi dipende. Negli Stati Uniti per esempio non esiste la scherma gratuita ma hanno tantissimi atleti, più di tutti gli altri Paesi, tranne forse la Cina, quindi in qualche modo funziona.

Hai lavorato per quattro anni con Stefano Cerioni, com’è stata quell’esperienza?
Nella scherma, e un po’ anche nella vita, è stata una delle esperienze più importanti per me. Cerioni è arrivato con la sua visione della scherma, che era un’altra, potrebbe essere migliore o peggiore, ma è un’altra. Un’altra visione su come costruire l’assalto e la tua scherma, è stato molto interessante. Non solo Cerioni, perché lui è arrivato con Giovanni Bortolaso e Maurizio Zomparelli. Giovanni mi ha dato molta consapevolezza di quello che facciamo, Maurizio è un bravissimo preparatore atletico, usiamo ancora i suoi suggerimenti, i suoi esercizi e il suo sistema. Aggiungiamo qualcosa del nostro sistema, combinandolo col suo. È stato ottimo per me, anche perché i miei risultati migliori sono stati con questo team.

Ora avete un ct russo, cos’è cambiato?
Ora devo re-imparare un po’, perché è cambiato tutto e io devo cambiare la mia scherma. Un atleta non può essere diviso dal coach, si lavora insieme e questo lavoro è guidato dal maestro, non puoi fare da solo. Quest’anno penso di stare iniziando ad abituarmi, perché l’anno scorso è stato un po’ difficile cambiare molto velocemente e ora sto cominciando ad adattare la mia scherma alla nuova realtà.

Non eri a Rio e poi sei tornato. Com’è stato ricostruire la squadra dopo l’oro che gli altri avevano vinto alle Olimpiadi?
Tutto quello che ho vinto l’ho vinto in squadra. Tranne le Coppe del Mondo, perché ho vinto qualche Coppa del Mondo, ma nelle competizioni ufficiali tutti i miei migliori risultati sono stati in squadra. Non che sia più importante ma mi piace gareggiare in squadra, non so perché ma mi piace davvero tanto. Quando gareggi per te, puoi fare un errore ed è un errore solo per te, ok ho sbagliato, non è importante. Ma se ci sono altre tre persone, più i coach…

E forse anche la nazione.
E la nazione sì, ma prima di tutto è per le altre persone, perché è difficile pensare così globalmente quando si tira (ride, ndr). Vedo i volti dei miei compagni e tiro per loro, per loro e per i coach.
Tutta la nostra squadra ha capito che questa situazione era stupida e abbiamo un buon rapporto, ero anche io a Rio ma solo come…fan (ride, ndr)

Sei stato lo sparring partner dei tuoi compagni lì?
Sì, sono stato il loro sparring partner durante gli allenamenti a Rio. Insieme abbiamo lavorato duramente prima delle Olimpiadi, è stato importante per me aiutarli a raggiungere questo traguardo. Per me però, questi allenamenti sono stati come nel libro di uno dei miei scrittori preferiti, Hunter S. Thompson The Curse of Lono: essere in paradiso ma senza alcun piacere.

Ho anche notato che la Russia è una delle poche nazioni i cui atleti che perdono vanno a tifare per gli altri fino alla fine della gara.
Sì, perché sarai più forte se riuscirai a trovare la forza dentro di te per andare a tifare per il tuo avversario dopo aver perso. Se un atleta russo gareggia e io penso «sarebbe bello se perdesse», io non cambierò, lui vincerà o perderà comunque, ma io perderò la mia forza per questo, perché io devo concentrarmi sulla mia scherma non su quella degli altri. Se sostengo qualcuno, e lui vince, io sarò felice. È una buona sensazione, molto migliore di invidia o rabbia. (sorride, ndr)

Twitter: @Ariariasally

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Fotografia Daniel Derajinski