Arbitro internazionale da sei anni, Gaspare Armata racconta esordi, gare, pressioni e gioie del mestiere.
«Gioie e dolori, ansie e paure, successi e delusioni. Provare a spiegare la passione. Insomma, che gusto c’è a fare l’arbitro» ha detto un noto arbitro calcistico, Nicola Rizzoli. Amati, odiati, rispettati, i giudici di gara sorvegliano gli assalti con aria altera, distante dagli scatti irosi, dalle urla, dagli istinti della pedana. Durante gli ultimi Europei, a Novi Sad, abbiamo chiesto a Gaspare Armata di raccontarci che gusto c’è a fare l’arbitro.
Come hai iniziato a fare l’arbitro?
Ho iniziato per caso. Facevo l’istruttore con i bambini a Monza a sedici anni, sono andato a una gara regionale per seguirli, mi ricordo che un arbitro si era sentito male la mattina, chi mettiamo, chi non mettiamo, mi dicono: «Gaspare vuoi farlo?», e io ho detto: «vabbè mi metto lì, non l’ho mai fatto, proviamo» e da lì è nato tutto, è stata una cosa un po’ casuale. All’inizio lo fai perché ti piace rimanere nell’ambiente, si guadagna un po’, che quando si è giovani permette una piccola indipendenza e poi ho iniziato ad arbitrare gare, a diciott’anni mi hanno fatto fare l’esame, e da lì adesso sono qui.
Com’è la carriera di un arbitro internazionale?
La commissione italiana dopo averti fatto arbitrare tanto in Italia decide di farti fare l’esame come arbitro internazionale, io l’ho fatto nel 2013 a Bratislava, e da lì entri nel circuito delle gare di Coppa del Mondo under 20, e poi c’è lo step successivo delle gare di coppa del Mondo Assoluta. In Italia siamo solo in sei ad avere la possibilità di arbitrare queste gare.
Durante gare ufficiali come questa si sente una pressione maggiore?
In realtà la pressione, posso permettermi di dire questa cosa, per noi italiani un po’ non esiste, nel senso che noi comunque siamo abituati ad avere delle competizioni con molta pressione, con atleti molto forti. Abbiamo una scuola fortissima e le nostre gare sono degli allenamenti per noi quindi quando andiamo all’estero che si tratti di Coppa del Mondo, un Europeo o un Mondiale cambia poco. Ovviamente arbitrare a una gara ufficiale è un prestigio maggiore. La pressione è più una questione di emozione, e del modo in cui la affronti. A livello schermistico cambia poco, poi comunque sono gli stessi atleti.
Quando ero agli Assoluti a Roma, ti ho visto arbitrare un assalto tra due atleti molto forti, stavano iniziando a darsi addosso, tu li hai chiamati entrambi e li hai guardati. Loro hanno subito smesso. Mi è sembrata quasi una magia ma ho avuto l’impressione che si affidassero a te
Generalmente c’è una sorta di rispetto reciproco, poi ovviamente quello che dico sempre io è che loro fanno il loro lavoro, noi facciamo il nostro, quindi ovviamente nel rispetto delle regole ognuno fa la sua parte, nel mio caso specifico io ho fatto scherma con la maggior parte di loro. Con Giorgio Avola, lui è più piccolo di me, quando ancora c’erano le categorie allievi primo e secondo anno tiravamo insieme in Sicilia, anche Daniele è siciliano, lo conosco da tanto tempo, Alessio tirava con me nelle gare cadetti e giovani, sono stato tanti anni in palestra con Cassarà, quindi comunque sono persone che mi conoscono. Con i ragazzi della nazionale c’è quel rapporto che ti aiuta a volte ad avere un po’ più di rispetto, però in realtà dipende sempre da come li gestisci, come hai detto tu, se loro capiscono che tu riesci a mantenere il match in maniera tranquilla si fidano. Quello che loro vogliono, io credo, e noi in Italia lo facciamo molto bene tutti, è essere tenuti sotto controllo, che non è una questione di autorità.
No sono d’accordo, io in quello sguardo avevo visto proprio fiducia
Sì perché sanno che noi arbitriamo in buona fede. Determinate situazioni nell’assalto si verificano perché fanno parte del nostro sport, come contestare una stoccata anche se magari sai che non è così, oppure magari pensi che l’arbitro abbia sbagliato e vuoi dei chiarimenti. Noi sbagliamo, il fatto di avere il video arbitraggio in Italia è una grossa formazione per gli arbitri che lavorano in gare importanti, ma anche per i nuovi arbitri perché aiuta ad avere tranquillità nel dire sì ho sbagliato posso cambiare. Il rispetto è qualcosa che ti guadagni nel tempo ma gli atleti sanno che è ricambiato.
Qual è il modo migliore per guadagnare il rispetto degli atleti?
Il dialogo è una cosa che aiuta a crescere tutti, la scherma è uno sport che cambia sempre negli anni. Non sono il tipo che fa la voce grossa, a volte è capitato, magari con quelli più giovani, a volte li devi un po’ far calmare, perché è uno sport molto mentale, e quando perdi la testa a volte fai delle cose che non vuoi fare, e noi arbitri ovviamente quando loro superano il limite dobbiamo riportarli alle regole.
Sia per il regolamento che per loro, a volte arrabbiarsi troppo pregiudica l’andamento dell’assalto
Assolutamente, per loro. La stessa cosa può capitare agli arbitri perché se ti innervosisci rischi di poter non essere lucido nel giudicare alcune stoccate, perché poi incide tanto il modo in cui tu sei concentrato. A volte gli atleti non capiscono , perché non sono stati arbitri, mentre io sono stato atleta e lo capisco, che creando una situazione di battaglia durante l’assalto, rischi che l’arbitro non riesca ad avere la concentrazione giusta per arbitrare.
È più facile arbitrare giovani o adulti?
Il Gran Premio Giovanissimi credo sia una delle gare più importanti che esista al mondo perché è un momento di grande formazione, da lì da noi sono nati tutti i campioni che abbiamo adesso. Arbitrare ad un GPG ovviamente è diverso, perché si va lì e si deve essere parte della formazione di questi ragazzi, devono capire che è uno sport, si devono divertire, anche se è vero che c’è l’agonismo. Non è facilissimo, perché a volte devi gestire alcune situazioni con il buon senso visto che sono ragazzi che devono crescere. Per quanto riguarda i ragazzi, invece, dai cadetti in poi, forse è brutto dire così, ma sono tutti uguali. Entrano nel mondo della scherma seria, adulta, devono cominciare a capire che le regole vanno rispettate, che tutto fa parte del gioco, l’ arbitro, il maestro dell’avversario.
Quale arma preferisci arbitrare?
La mia principale arma è il fioretto quindi ovviamente il fioretto, perché è stata la mia passione, è stata la mia arma. Mi piace arbitrare anche la spada ad alti livelli. Anche da noi in Italia, gli spadisti sono veramente degli atleti, con una forma fisica ed un modo di fare scherma fantastico, quindi ci sono degli assalti bellissimi da arbitrare, però ovviamente tra le due scelgo il fioretto.
E quale tipo di atleta?
Io amo molto il fiorettista classico, quello che fa bella scherma, amo quello che fa l’attacco fatto bene, la parata e risposta con la cavazione, mi piace la scherma bella da vedere. Mi piacciono anche i toccatori, persone che riescono comunque ad avere una scherma di contrattacco, ma va fatta bene. Basta pensare a Valentina Vezzali, che credo sia una degli atleti più forti di sempre, non solo nella scherma; l’azione di andare a prendere il tempo dell’avversario, non facendolo toccare, non è da tutti, lei aveva un grande senso della stoccata. A volte mi piace questo tipo di atleti perché lo fanno con testa, non tanto per tirare dentro. Detto ciò mi piace vedere la scherma bella, ma da noi c’è tutta, non possiamo lamentarci. Ogni volta che parliamo con gli altri arbitri loro ci dicono che ci invidiano perché abbiamo questo tipo di gare, perché chi inizia da poco, è bravo ma magari sbaglia ancora un po’ e deve migliorare, sicuramente da noi ha un margine di miglioramento maggiore.
Le gare agli Assoluti da noi sono delle gare di Coppa del Mondo
Una volta c’erano le nazioni top con gli atleti top e poi c’era una fascia bassa, non c’era un livello medio, adesso ci sono sempre i top ma tirano tutti. Al Mondiale ho visto gente da Taipei tirare bene, Singapore è migliorata, qui un Messicano ha fatto terzo. Questo è un cambiamento positivo perché rende la scherma più avvincente, noi magari siamo sempre abituati a vincere, vinceremo per tantissimi anni ancora secondo me, però adesso dobbiamo sudare.
Questo potrebbe anche portare la scherma ad essere sempre meno uno sport d’élite
Sì, credo che l’obiettivo sia questo, io dico sempre che il nostro sport è uno sport purtroppo poco televisivo. Racconto questo aneddoto, mio padre una volta si è messo a guardare la scherma in televisione perché io arbitravo un Assoluto e mi ha detto: «guarda ho cambiato perché non ci capisco niente». Non ci ha mai capito niente perché comunque è difficile, devi essere nel mestiere, ma è uno sport bellissimo, è inutile che lo dica, se riuscissimo a portarlo in tutto il mondo ad un alto livello sarebbe fantastico.
Forse non è così televisivo, ma se si riuscisse a portare le persone alle gare magari poi lo guarderebbero anche in TV
Sì, perché quando poi la capisci la scherma è bella, però secondo me si può fare, c’è modo di farlo.
Siamo lo sport più medagliato, dovrebbe essere lo sport nazionale. Se diventasse più popolare, se riuscissimo a portare le famiglie nelle palestre, sarebbe veramente fantastico, perché l’anno dopo le Olimpiadi è l’exploit delle palestre, questo ti fa capire che la gente potrebbe essere appassionata alla scherma. Siamo una sicurezza per il CONI e per tutto lo sport italiano per questo vorrei che non ci fosse un boom di iscrizioni solo dopo l’anno Olimpico.
Hai un sogno nel cassetto?
Il mio sogno sarebbe quello di andare alle Olimpiadi. Sarebbe lo step successivo e per forza devi avere degli obiettivi, perché è una passione, io sinceramente lo faccio per questo, non per i soldi. Quando lo fai con passione hai bisogno di avere degli stimoli.
Twitter: @Ariariasally
Fotografia Bizzi/Trifiletti