La musica ascoltata dagli atleti in gara e nella vita di tutti i giorni. La selezione di Luca Magni.
Sono un ascoltatore seriale e quindi, spesso, preferisco fare zapping in radio anziché piazzare una playlist.
La musica la sento e la “uso” da sempre. Radio accesa in viaggio, durante i lavori domestici e, spesso, al lavoro; voglia di ballarci sopra sempre e comunque; cuffie in testa nelle mie escursioni estive sulle strade; un passato nostalgico (ma ora mi ci rimetto, giuro) da studente di pianoforte e una felice stagione da componente di gruppo rock e organista di matrimoni. Nonostante questo, non ho mai sentito l’esigenza di farmi coinvolgere dalle note quando sono in gara. Non penso ci sia una ragione. La musica accompagna o suscita sentimenti. Forse in quell’ambito non ne sento semplicemente il bisogno.
In questi giorni ho provato a fare una playlist. È successo come quando si fa il primo elenco dei potenziali invitati al matrimonio. Con le canzoni mi sono fermato a 50.. E solo perché avevo deciso di non mettere più o meno tutte le canzoni di PFM (il faro, da sempre), Nomadi, Beatles, Rollong Stones, Queen e Doors. Di citare in modo ripetuto i cantautori, con in testa Lucio Dalla, per me inarrivabile. Oppure di scovare i fantastici pezzi della motown.
Poi ho pensato ai sentimenti, e mi sono domandato cosa mi piace fare, pensare, sentire quando ascolto una canzone.
E allora ho tirato fuori qualche pezzo “simbolo” per ogni reazione che provo. Senti la musica e non riesci a stare fermo, come Kevin Kline in In & Out. Adoro la disco anni ‘70, ma io sono un figlio degli anni ‘80 e se provo a immaginarmi mentre, diciottenne, ballo in pista, mi viene in mente Abracadabra (Steve Miller Band). È bello farsi travolgere da una pioggia di suoni. Nel mondo si legge Genesis, in Italia PFM. Quando una formazione semplice (base ritmica, chitarra e tastiere con un aiutino dell’elettronica) si trasforma in orchestra. E magari celebra la musica in sè come in Suonare suonare (PFM).
Il blues rilassa, andrebbe prescritto dal medico. Mi piace tutto, in maggiore e in minore, ritmato o suadente. Italiano e straniero. Dalle note quasi “stirate” di No more blue (Roberto Ciotti) alle cadenze incessanti di They’re Red hot (Eric Clapton). La musica va anche “vista”, i musical provocano immedesimazione. Un genere che adoro: The Blues Brothers, Sette spose per sette fratelli e tanti altri. Anche se ho una predilezione per The Rocky Horror e la sua The time warp.
Ascolto le collaborazioni artistiche e le sperimentazioni come se mi trovassi ad una conferenza. Da Banana Republic a We are the world, tanto per capirci o la strepitosa versione di Dancin’ in the street di Jegger/Bowie. Anche se penso che la magia creata dall’incontro fra la poesia di De Andrè e il prog della PFM sia irripetibile e scelgo Bocca di rosa.
Trovo geniale chi riesce a far sorridere suonando. Però deve essere anche bella musica. Penso a Elio e le storie tese, a Cochi e Renato o a Fred Buscaglione. E anche a perle nascoste come Barista cretino Pandemonium). Ascoltare e sentirsi innamorati. Per scoprire se parole e melodie sono quelle giuste chiudo gli occhi e ascolto. Vorrei citare Sarà per te di Francesco Nuti o Brividi di Rossana Casale, ma il mio faro, da sempre, è Cara (Lucio Dalla), inimitabile per la dolcezza che infonde fino dalla intro e dal primo verso, e per la melodia che culla dalla prima all’ultima nota.
Mi piacciono i ritmi che sconquassano, quelli che non sai come fare a seguire. Quelli il cui unico modo per ballarli è saltellare in qua e in là come un cretino. Mettete su La danse des Negresses Vertes e provate. La musica che parla di sport provoca un sentimento di complicità. Bartali, Nuvolari, Coppi, Pantani, Senna, tante piccole poesie. Ma anche campioni, o campioncini anonimi, come Nino di La leva calcistica dell’anno ‘68 (Francesco de Gregori). E alla fine ci si gioca il jolly. Quelle canzoni che ti restano in testa senza un motivo. Una cosa tipo Ma che idea (Denovo)