Storie Olimpiche – Il secondo eterno di Shin A Lam

Un pasticcio con il cronometro priva Shin A Lam della finale olimpica nella spada femminile a Londra 2012. La sua protesta in lacrime diventa immagine icona di quei giochi.

 

Londra, 30 luglio 2012

Settanta minuti. Lunghissimi. Ma mai infiniti come quel secondo sul cronometro che l’aveva condannata a disputare la finale per il bronzo e non quella per l’oro nella prova individuale di spada femminile ai Giochi di Londra. Shin A Lam, coreana, venticinque anni, malgrado sia seduta sulla pedana centrale dell’Excel Center da più di un’ora non riusce a smettere di piangere.

Settanta minuti. Tanto è servito alla giuria per prendere in esame il suo ricorso, respingerlo e ratificare ufficialmente la vittoria di Britta Heidemann. E lei, la ragazza coreana che suo malgrado sarebbe passata alla storia delle Olimpiadi, che da quella pedana proprio non si vuole schiodare. Troppo grossa l’ingiustizia che, a detta sua e del suo coach, aveva subito per rinunciare senza combattere al suo sogno. Figurarsi con in palio la possibilità di giocarsi il titolo Olimpico. Maledetto cronometro, quanto hai fatto durare quel secondo?

Rio De Janeiro, 17 maggio 2013

Certe volte gli della scherma si divertono davvero tanto a muovere le pedine e creare trame che nemmeno il più fantasioso dei romanzieri sarebbe riuscito a mettere in un libro. Nella finalissima della tappa di  Coppa del Mondo a Rio De Janeiro si trovano davanti ancora loro due: Britta Heidemann e Shin A Lam.

Il match sembra la fotocopia in tutto e per tutto di quanto era accaduto in Gran Bretagna un anno prima. E quando si dice fotocopia, non c’è da cercare metafore: alla fine delle tre manche il punteggio era inchiodato sul 5-5. Come a Londra. Si sarebbe risolto tutto alla priorità. Come a Londra. La sorte assegna la priorità alla Shin. Come a Londra.

A cambiare questa volta è il finale. La Shin, a cui basta anche il pareggio per portare a casa il match – come a Londra, ça va sans dire – per tagliare la testa al toro piazza la botta vincente. Gioco, partita, incontro e abbraccio a centro pedana fra le due protagoniste di quello stranissimo film. Non la stessa cosa a livello di peso specifico, ma una piccola rivincita.

Londra, 30 luglio 2012

Pochi secondi alla fine. Del tempo, ma anche del sogno di Britta Heidemann di dare la caccia alla sua seconda medaglia d’oro Olimpica di fila. Il cronometro scorre impietoso, il punteggio di contro è sempre bloccato su quel 5-5 che, per effetto della priorità data dalla sorte all’avversaria, spingerebbe Shin A Lam in finale. Ora o mai più. La tedesca si lancia in attacchi sempre più furiosi, ma la coreana la respinge sempre al mittente a suon di colpi doppi. Un secondo alla fine.

Do or die. Si dice così dalle parti della città Olimpica. Al pronti a voi, Heidemann carica a testa bassa ma viene respinta. Colpo doppio e di nuovo in guardia. Per una, due, persino tre volte. E quel cronometro sempre fermo a 1 secondo dal gong.  In realtà mancherebbero pochi millesimi, ma quel tempo non venivano calcolati. L’unità più piccola misurata era il secondo. E così, scaduto il tempo senza che le atlete potessero rimettersi in guardia ecco il pasticciaccio: al reset imposto, come da protocollo, dall’arbitro, il cronometro viene rimesso a un secondo. Un secondo completo, non i pochi millesimi che separavano Shin dalla finalissima.

Sola, in lacrime, con tutti gli occhi del Mondo addosso, in attesa di qualche segnale che le confermasse che tutto quello che sta vivendo non era altro che un terribile incubo, frutto dell’ansia di doversi a breve giocare una medaglia d’oro alle Olimpiadi.

Ricapitolando. Ennesimo pronti a voi, ennesima carica della Heidemann che tenta il tutto per tutto; finta di attacco, lei che si sbilancia e scopre fatalmente una parte di bersaglio su cui implacabile piomba la punta della spada della tedesca. Luce rossa. E fine dei Giochi. Altro che finale per l’oro, altro che brutto sogno: tutto tremendamente vero. E inaccettabile. Scatta il ricorso e quell’interminabile sit-in in pedana destinato a diventare una delle immagini iconiche dell’Olimpiade londinese.

L’atmosfera all’Excel Center è surreale. Il dramma sportivo della coreana si mischia all’imbarazzo della direzione di torneo, mentre seduti l’uno accanto all’altro i tecnici delle due atlete attendono il verdetto. Che arriva ufficialmente dopo un’ora e più: Heidemann in finale, quel che resta psicologicamente della Shin a giocarsi una medaglia di bronzo in un ulteriore match da affrontare con il morale sotto i tacchi e la concentrazione ormai in viaggio verso altri lidi.

Epilogo

La medaglia di bronzo è appannaggio della cinese Sun Yujie, che si impone per 15-11.

Il giorno dopo, riconosciuto l’errore, la FIE decide di assegnare a Shin A Lam una speciale medaglia. «Non credo mi farà stare meglio. Non è una medaglia Olimpica» ha risposto la coreana.

Il 4 agosto, nella prova a squadre, Shin A Lam vince la medaglia d’argento assieme alle sue compagne. Oro alla Cina, bronzo agli Stati Uniti che nei quarti avevano sorpreso e battuto l’Italia.

Argento è anche il colore della medaglia vinta alla fine dalla Heidemann, battuta in finale dall’ucraina Yana Shemyakina.

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