Battendo in finale per 15-14 l’ungherese Nemcsick, Aldo Montano vince l’oro nella sciabola maschile individuale alle Olimpiadi di Atene 2004.
La scherma, in casa Montano, è una questione di famiglia. Una lunga storia, tramandata di generazione in generazione, di una dinastia con il DNA della vittoria incorporato. Sullo sfondo, Livorno. Il Fides (clicca qui per leggere il nostro reportage), la tradizione iniziata dai fratelli Nadi, una scuola diventata ben presto una delle colonne portanti dell’Italia delle lame.
Eppure, alla data del 14 agosto 2004, nessuno dei Montano aveva messo al collo l’oro Olimpico individuale nella sciabola maschile. Aldo Montano senior, capostipite della famiglia, si era fermato all’argento tanto a Berlino nel 1936 quanto 12 anni dopo a Londra nell’Olimpiade della rinascita dopo il dramma della Seconda Guerra Mondiale. Mario Aldo, il figlio, la medaglia pregiata a Cinque Cerchi l’aveva vinta a squadre, nel 1972 a Montreal. Con lui, il cugino Mario Tullio, Michele Maffei, Rolando Rigoli e Cesare Salvadori.
Quel 14 agosto 2004 è una giornata campale per la città di Livorno e la sua provincia. Mentre Aldo Montano, stesso nome del nonno e, come lui e il resto della famiglia sciabolatore, avanza a grandi falcate verso la finale del torneo individuale, un altro labronico – più precisamente di La California, frazione di Cecina – si appresta a tagliare a braccia alzate il traguardo della prova di ciclismo su strada, regalando nuovamente all’Italia quel titolo centrato già dodici anni prima dallo sfortunato Fabio Casartelli. Il suo nome, Paolo Bettini. Ma questa è un’altra storia.
Alla sciabola maschile tocca l’onore di inaugurare il programma della scherma ai Giochi ateniesi. Un’edizione a suo modo storica, dal momento che per la prima volta si sarebbe assegnato a livello Olimpico anche il titolo femminile, in una gara che sarebbe stata vinta da una giovanissima Mariel Zagunis. Le prime speranze di medaglia per l’Italia nel torneo maschile sono affidate all’ultimo rampollo della famiglia Montano. L’uomo chiamato a completare la collezione di medaglie di famiglia con l’unica che ancora manca nella bacheca.
Il debutto, per Aldo è contro il beniamino di casa Manetas, pratica archiviata con il punteggio di 15-9. Quindi il doppio tutt’altro che facile assalto dapprima contro lo statunitense Keith Smart quindi il quarto di finale contro il russo Sergej Sharikov, mostro sacro della disciplina. Nel frattempo, non mancano le sorprese nel tabellone: il campione Olimpico in carica, il romeno Mihail Covaliu, viene fermato da Nemcsik, e allo stesso modo saltano in anticipo sul pronostico tanto l’ucraino Voldymir Kukashenko, iridato l’anno prima, quanto soprattutto lo Zar Stanislav Podzniakov. Ad attendere Montano in semifinale, quindi, il bielorusso Dimitry Lapkes, in un torneo che eccezion fatta per il livornese, sembrava essere tutto un affare fra le scuole dell’Est Europa.
Finalissima. Fra Montano e la gloria Olimpica c’è solo l’ungherese Zolt Nemcsik. E proprio il magiaro trova la partenza giusta, portandosi in un amen sul 5-1 di vantaggio. Un niente in una disciplina come la sciabola, in cui l’unica alternativa a mettere la stoccata è subirla. Niente alleanza con il cronometro, niente colpo doppio in cui rifugiarsi. Niente di niente. Attaccare per piazzare il punto oppure trovare il modo di neutralizzare l’offensiva avversaria.
Il match è teso e tirato, ma con una costante: a fare l’andatura, mutuando dal gergo ciclistico, è sempre Nemcsik. Montano è sempre costretto all’inseguimento, avvicinandosi ma non riuscendo mai (o quasi) a trovare la zampata giusta per attuare l’aggancio al fuggitivo magiaro. Il quale, di contro, non ha modo di scappare via più di tanto in un assalto che vive sul filo del più grande equilibrio, diventando a un certo punto un avvincente botta e risposta durante il quale l’azzurro riesce a trovare anche il vantaggio sul 13-12. In un amen, però, Nemcsik dapprima impatta quindi controsorpassa portandosi a una sola stoccata dal traguardo.
La tensione si fa palpabile sui volti di entrambi i contendenti. Nemcsik aveva sin lì vinto soltanto nelle gare a squadre, Montano aveva perlomeno eguagliato suo nonno ma di fronte intravvedeva ancora la possibilità di fare il colpaccio. In guardia. All'”a voi” dell’arbitro è Montano è uscire meglio dai blocchi ma il suo attacco non va a segno. Potrebbe essere la fine, ma in men che non si dica l’azzurro trova la linea vincente e con essa la stoccata che manda la contesa all’ultima stoccata.
Quattro anni di lavoro. Una sola stoccata. Una frazione di secondo in cui la minima esitazione è la linea di cesura netta fra la vittoria e la sconfitta. In guardia. Il tempo di un sospiro, le luci che si accendono, le maschere che volano via lasciando vivide le emozioni che modellano i volti dei due atleti. Impietrito quello di Zolt Nemcsik, lo specchio della gioia quello di Aldo Montano, che corre come una scheggia impazzita per tutto il palazzetto.
È fatta, è oro. La chiusura di un cerchio per la famiglia Montano, l’inizio di un esaltante romanzo a Cinque Cerchi per Aldino. Un argento e due bronzi a squadre fra Atene, Pechino e Londra, la qualificazione con le unghie e con i denti per Rio nell’edizione senza gara squadre, la voglia di esserci a ogni costo a Tokyo per vivere per la quinta volta il sogno Olimpico prima che un nemico subdolo e invisibile, capace di mettere in ginocchio il Mondo intero, mandasse tutto in là di un anno. Togliendo probabilmente al campione livornese il proscenio più prestigioso per l’ultima recita.
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