A Cassino l’arbitro milanese ha chiuso una carriera pluriennale che lo hanno portato a essere fra i migliori nel suo lavoro. Intervista con Giuliano Ranza fra aneddoti e bilanci di una vita in pedana.
Tutte le cose belle arrivano prima o poi alla fine. E così anche per Giuliano Ranza, milanese, sessant’anni da poco compiuti, è arrivato il momento di appendere i cartellini al chiodo e chiudere una lunghissima carriera che lo ha portato ad essere fra i migliori arbitri al Mondo soprattutto nella spada. A Cassino, teatro degli ultimi Assoluti, ha arbitrato il suo ultimo assalto, la finale della spada maschile fra Paolo Pizzo ed Enrico Garozzo.
In attesa di capire cosa riserverà il futuro, con la prospettiva di mettere la sua esperienza al servizio dei giovani arbitri che si stanno facendo largo nei quadri federali, per Giuliano Ranza è tempo di fare un bilancio di una vita in pedana.
Giuliano, che effetto fa?
È finita un’era. Ma è giusto così, non ho alcuna recriminazione. E poi è giusto che i giovani prendano il posto di noi un po’ più “attempati” (sorride, ndr). E per fortuna qui in Italia di giovani arbitri molto bravi ce ne sono tanti. Sono preparati e hanno voglia di fare, ora spero di poter passare loro la mia esperienza di tanti assalti vissuti in pedana per affinare i dettagli. Quello che vorrei soprattutto trasmettere ai ragazzi è che non abbiano paura di chiedere, dal momento che non ci sono domande “stupide” e che comunque sono sempre eventualmente preferibili a possibili contestazioni.
Abbiamo iniziato questa nostra chiacchierata dal presente e dal possibile futuro, ora però facciamo un salto indietro: come è iniziata la tua lunga storia con la scherma?
I primi passi in pedana li ho mossi a Brescia, perché mio padre – che era pilota militare – era di stanza a Ghedi. Poi, quando ci siamo mossi a Milano, mi sono spostato alla Mangiarotti. In quel periodo, però, già cominciavo ad arbitrare: la mia prima gara l’ho fatta il 4 dicembre 1981. Era una gara regionale, all’epoca mi hanno un po’ buttato dentro. Da lì, poi, ho seguito tutta la trafila nazionale e internazionale, diventando nel 1988 arbitro FIE di fioretto. Successivamente ho preso la licenza per la spada e, infine, quella della sciabola, perché all’epoca erano necessarie le licenze in tutte e tre le armi.
Quindi ti sei specializzato nella spada…
Le prime gare di Coppa del Mondo le ho fatte nel fioretto, ma il Gruppo Schermistico Arbitrale italiano è pieno di bravissimi arbitri in quest’arma. E così succedeva che spesso e volentieri mi trovavo davanti tanta gente molto brava e diventava una sfida. Nella spada invece mi sono creato una mia sorta di “fetta di mercato”, diciamo così. E mi sono fatto tutte le gare di Coppa del Mondo. Calcola che fra spada e fioretto avrà arbitrato oltre 200 finali in Coppa del Mondo. Quando poi la Federazione Internazionale ha cominciato a cercare arbitri “specializzati”, pur avendo le licenze per tutte le armi, ho continuato a battere il ferro con la spada.
Il culmine della tua carriera è stata la convocazione ai Giochi Olimpici di Rio. Ti ricordi il giorno in cui ricevetti l’ufficialità della tua chiamata?
Ero appena tornato dai Mondiali di Mosca, dove peraltro avevo anche ricevuto il premio per miglior arbitro. E siccome le convocazioni per i Giochi si conoscono un anno prima di essi, in quel periodo circolavano già delle voci. Ma essendo reduce dalla delusione per la mancata designazione per Londra, non ho voluto darci peso e farmi illusioni. Nel settembre 2015, mentre ero a fare una gara Under 20, mi arriva uno strano messaggio da Martina Ganassin in cui mi diceva che c’era una gara a Rio ad attendermi. E no, quella gara non era la Coppa del Mondo ma QUELLA gara. Poi, dopo una serie di telefonate, ho capito che era tutto vero.
Quale è stato l’atleta più difficile da arbitrare, se mai c’è stato?
In realtà no, perché ho avuto a che fare sempre con grandi atleti e persone molto corrette. Se proprio trovavo delle difficoltà, queste erano legate al fatto che nessuno di loro voleva perdere. Se invece vogliamo parlare di gare difficili da arbitrare, ti direi gli Assoluti in Italia. A livello nazionale è sempre più difficile arbitrare che non a livello internazionale, anche perché ti devi anche distaccare da eventuali amicizie che stringi con gli atleti in pedana e questo rappresenta un fattore in più.
Della tua lunghissima carriera c’è un aneddoto particolare che ti è rimasto particolarmente impresso?
Una volta in Finlandia mi è capitato di arbitrare una gara Under 20 in un bunker anti-atomico! Mi avevano mandato a fare questa gara a Helsinki e il giorno della gara chiedo le informazioni su come arrivare al palazzetto. Lungo la strada incrocio i ragazzi che andavano a fare la gara quindi li seguo e vedo che cominciano a infilarsi in una specie di residence. Al centro c’era una casettina blu, prendiamo l’ascensore, scendiamo di quattro piani sotto terra e ci siamo trovati in questo rifugio. Devo dire che, malgrado la strana esperienza, è stato molto divertente.
Rifaresti tutto?
Sì. La scherma mi ha dato tantissimo. Ho cominciato a sette anni, è stato amore a prima vista e sono stato totalmente ripagato. Ci sono stati ovviamente momenti difficili, ma se lavori tanto e se hai anche un po’ di fortuna, i risultati li ottieni e come.
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Foto Bizzi