Le due più grandi interpreti Mondiali della sciabola femminile sono le protagoniste più attese della gara a Tokyo. Ma dietro attenzione a Manon Brunet e altre papabili al trono. Azzurre outsider.
Hanno un posto di diritto nella Storia della sciabola femminile ma ancora nelle loro bacheca non brilla quella medaglia che la lancerebbe definitivamente nel mito. Olga Kharlan e Sofya Velikaya, in rigoroso ordine alfabetico, a Tokyo sono chiamate ancora una volta ad affrontare il loro tabù e provare ad abbattere a spallate quella porta che si è sempre chiusa sul più bello in faccia ai loro sogni di Oro Olimpico.
Una finale replica di quella di Budapest 2019 stuzzica i pensieri degli appassionati di scherma, sarebbe risarcimento e allo stesso tempo ennesima beffa del destino, giustizia e ingiustizia. Giano bifronte, felicità o pianto a seconda del punto di vista da cui si osserva la scena. Per la vincitrice, chiunque essa sia, la fine di un incubo e la ciliegina sulla torta di palmares ricchissimi. Per la sconfitta, trovarsi ancora a fare i conti con l’amarezza di un qualcosa che sembra inafferrabile. Nello sport non c’è honoris causa, soprattutto quando si parla di titoli Olimpici.
C’è da lottare e sudare in pedana, curare tutti i dettagli e perché no, sperare che gli dei della scherma –che sin qui hanno premiato alle Olimpiadi solo atlete mancine – siano dalla tua parte. Budapest non ha fornito indicazioni interessanti sullo stato di forma delle protagoniste più attese: messa ko dal covid la Russa, niente gare per lei, sorpresa dalla Matuszak l’ucraina, fuori al primo turno. E tutto rimandato a Tokyo, dove tutto può succedere. Una finale fra le due Zarine sarebbe suggestiva, ma in molte sono pronte a scombinare loro i piani.
Manon Brunet, ad esempio. La francese l’avevamo lasciata in lacrime fra le braccia di Olga Kharlan, in un’immagine diventata iconica di Rio. Le due grandi deluse a far da spalla l’una al pianto dell’altra. In questo quinquennio la lionese è cresciuta esponenzialmente, ha messo in cascina vittorie in Coppa del Mondo e un Mondiale a squadre. E quella ferita brasiliana brucia ancora.
Ma nel branco affamato di chi è pronta ad approfittare dei passi falsi delle Regine c’è spazio per giovani rampanti (Anna Marton e Liza Pusztai), ma anche chi, come Mariel Zagunis, alla quinta partecipazione non intende certamente recitare il ruolo di comparsa, soprattutto quando sul curriculum vitae si legge la voce bi-campionessa Olimpica.
Partono da qualche posizione indietro le azzurre. Martina Criscio, Rossella Gregorio e Irene Vecchi sono atlete in grado di arrivare ai vertici, i risultati parlano per loro, ma nelle ultime stagioni spesso e volentieri si sono espresse meglio in squadra che non a livello individuale. Possono essere la sorpresa di giornata e portare a casa il bottino, pronte poi penna in mano per provare a scrivere la Storia nella prova per quartetti.
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Foto Augusto Bizzi