Dopo l’oro iridato nel 2018, la Podzniakova centra l’oro Olimpico. Terzo argento di fila per Sofya Velikaya. Bronzo per Manon Brunet, lontane le azzurre.
Russia contro Russia. Sofya contro Sofia. Una il cui cognome tradotto in italiano è la Grande, l’altra che il cognome di un grande (anzi di un vero Zar) lo porta stampato sulla schiena e sulla carta d’identità. Di nuovo l’una contro l’altra, tre anni dopo il faccia a faccia sulla pedana di Wuxi.
E oggi come allora a festeggiare è la figlia d’arte. Vince Sofia Podzniakova, fa argento Sofya Velikaya. Fa la storia la figlia dell’immenso Stanislav, che quando il padre vinceva l’oro ad Atlanta ancora non era nata e ora, a distanza di venticinque anni, porta ancora quel cognome, Podzniakov, sul gradino più alto del podio alle Olimpiadi. Sbatte ancora una volta sulla sua personalissima maledizione la fuoriclasse di Alma Ata, nel giorno in cui anche la sua amica-rivale Olga Kharlan cede alla pressione di una caccia al titolo più prestigioso che la schiaccia e le taglia le gambe al primo assalto di giornata. La Velikaya riesce a spingersi fino in fondo, con la sua scherma elegante e senza troppi fronzoli che possano complicare la ricerca dell’efficacia.
Ma come a Londra e a Rio, l’oro finisce al collo dell’avversaria di turno. In questo caso, proprio come in Brasile cinque anni fa, a una compagna di squadra. Più giovane di lei, proprio come Yana Egorian, ma che questa volta porta il suo stesso nome. C’è un’altra analogia rispetto al Brasile: l’abbraccio e il giro di inchini assieme alla fresca campionessa Olimpica. Campionessa anche nella sconfitta, da vera signora delle pedane quale è Sofya Velikaya.
C’è un’altra protagonista nella gara di oggi. Si chiama Manon Brunet. La francesina era in credito con i Giochi Olimpici dopo l’amaro quarto posto di Rio. E se nulla ha potuto per arginare la corsa della futura regina Olimpica, Manon ha riscosso in parte di quello che le era dovuto battendo nettamente Anna Marton nella finalina per il bronzo. Prima di lasciarsi andare alle lacrime. Ma questa volta con ben altro sapore rispetto a quelle, al gusto di fiele, piante a Rio fra le braccia di Olga Kharlan.
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Foto Bizzi