Quando la scherma diventa arte

Il fiorettista siciliano, medaglia d’argento nella prova individuale usa la pedana come una tela per pennellare la sua scherma. Che sa essere arte in varie forme e stili.

 

Tenersi stretti alla razionalità permette all’uomo di non perdersi a cavallo dei sogni. La sella ben stretta su un lastricato di concretezza è la strada migliore per riuscire a raggiungere il desiderato senza cadere da cavallo durante il tragitto. È nella ricerca dello straordinario che l’originalità si trasforma in magia, allontanandosi da schemi che altrimenti sarebbero troppo lineari per essere apprezzati.

In questo turbinio di colori lanciati su una tela senz’ordine, si delinea la perfezione di Daniele Garozzo. Il gesto lasciato all’istinto, nato e maturato con estrema riluttanza verso uno sport in cui si richiede la perfezione nella ricerca di un angolo e di un’angolazione, rappresenta la sregolatezza propria dei campioni.

Uno sport come la scherma, portato alla sua massima espressione, è la somma di più forme d’arte contenute in una sola persona. Daniele Garozzo è il pittore nato con influssi novecenteschi: dipinge l’astrattismo di Kandiskij tra pedana e avversario, lavorando mentalmente come un Picasso del duemila. Le sue stoccate sono a volte futuriste e a volte impressioniste, ma hanno tutte una cosa in comune: sono una forma d’arte.

E così come l’arte non chiede spettatori ma li trova soltanto esistendo e mostrandosi, così Daniele non cerca amanti. Perchè lui la sua vena artistica la tiene per sé, in una bolla dove il mondo non può entrare ma solo vedere. Da uno spioncino, come fosse un giardino segreto riservato a pochi. Ricerca la perfezione all’interno del minimo errore che, anche se commesso, viene cancellato dalla concretezza del punto.

Daniele Garozzo è astrattista, cubista, futurista. E a Tokyo ha creato il suo capolavoro.

Ha confermato la sua grandezza, tratteggiando un match dopo l’altro il contorno del disegno che era nella sua testa da quattro anni. Andando avanti ha iniziato a passare il colore, partendo dal centro e spargendolo pazientemente per riempire i vuoti. E alla fine, su quella pedana della finale, era rimasto solo il momento di sfumare e firmare la tela in basso.

Leonardo da Vinci sembra abbia impiegato svariati anni a completare il suo capolavoro, quella Gioconda ammirata al Louvre da chiunque abbia voglia di perdersi in quel sorriso. Chi fa scherma non ha il tempo di ritoccare una stoccata: deve adattarsi alla prima pennellata. Non si può sbagliare. Quando Daniele si è trovato a sfumare quela costruzione nata il giorno dopo l’oro di Rio, maturata durante la giornata, si è reso conto di non riuscire a dare forma alla sua idea così come l’aveva pensata.

Mancava qualcosa, una gradazione differente di quarta; o magari una punta di passo avanti in più; o forse una nuance di controtempo. Cheung ha tagliato la tela, trasformandosi allo stesso tempo in Fontana e in un vandalo. La sua quindicesimo botta ha rappresentato lo squarcio su un capolavoro che sembrava poter diventare eterno; ma così facendo ha aperto quella dimensione spaziale che mancava a un paese come Honk Kong.

L’altezza del gradino del podio e il colore differente di medaglia non sminuiscono il valore dell’uno o dell’altro. L’unica certezza è che a imperitura memoria, la gara di fioretto maschile di Tokyo 2020 sarà considerata sempre e comunque una forma d’arte contemporanea.

E come ogni forma d’arte che si rispetti, anche “un Garozzo” adesso vale una cifra spropositata. Perchè è stato creato con sofferenza, audacia, spregiudicatezza, fantasia. Quel ragazzo divenuto uomo è la somma di un percorso che deve ancora compiersi del tutto. Ma che già possiede un valore inestimabile.

Twitter SimoMnez

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Foto Augusto Bizzi