Scherma e autismo: un connubio non solo possibile ma anche vincente. Ne abbiamo parlato con Luigi Mazzone, fondatore a Roma dell’Accademia Scherma Lia, che ospita tra le sue fila schermidori autistici, e promotore con la Federazione Italiana Scherma della gara integrata Fencing for Autism, prevista a Roma il 2 aprile 2023.
Di autismo nello sport si parla ancora troppo poco, eppure ci sono indubbi benefici che la pratica sportiva può portare alla persona affetta da disturbo dello spettro autistico. Ne è fermamente convinto Luigi Mazzone, neuropsichiatra, ex atleta e tecnico di scherma, che ha dato vita all’Accademia Scherma Lia, società di scherma con sede a Roma che accoglie sulle sue pedane anche atleti autistici. Le sue competenze e la sua esperienza lo hanno portato a presiedere la commissione dedicata che la Federazione Italiana Scherma ha allestito per occuparsi della regolamentazione per un circuito di gare per atleti affetti da disturbi dello spettro autistico e sindrome di down.
Il primo frutto di questo lavoro è Fencing for Autism, gara di Spada a squadre miste integrata che avrà luogo a Roma il 2 aprile, nella Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo. Ne abbiamo parlato proprio con Luigi Mazzone, che ha ripercorso con noi la strada intrapresa finora e lanciato uno sguardo al prossimo futuro.
Il 2 Aprile a Roma si svolgerà Fencing for Autism, una gara a squadre integrata tra atleti normodotati e atleti affetti da disturbo dello spettro autistico. Come è nata questa manifestazione e come si svolgerà?
La data della manifestazione è stata scelta perché il 2 aprile è la Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo. Per quanto mi riguarda, in quanto neuropsichiatra infantile, mi occupo di autismo da una vita, così come di scherma: ho infatti fondato a Roma l’Accademia Scherma Lia. Era da molto tempo che con la Federazione Italiana Scherma, con cui è stata organizzata una commissione ad hoc su autismo e sindrome di down, pensavamo di dare il via ad un percorso anche di gare per questi ragazzi. L’idea di organizzare qualcosa per il 2 aprile, che quest’anno cade anche di domenica ed è una data intorno alla quale c’è già di per sé molta attenzione sociale, si è poi concretizzata in una gara di scherma, nella specialità della Spada, integrata: composta cioè da squadre in cui uno dei componenti è un ragazzo o una ragazza autistici e ci aspettiamo tra le 12 e le 16 squadre. L’obiettivo è che il principio di inclusione sia veramente reale. Con la Federazione c’è il progetto di dare vita ad un percorso specifico per l’autismo, ma la bellezza di tirare insieme nella stessa squadra senza alcuna forma di diversità è secondo me l’idea vincente di questa manifestazione. Ha collaborato inoltre anche l’Aeronautica Militare, che ha messo a disposizione l’hangar del loro Parco Urbe: location secondo me davvero bella, che si presta alla perfezione. La Federazione Italiana Scherma ha sposato in pieno la proposta di Fencing for Autism: attualmente siamo in fase organizzativa e abbiamo già registrato l’adesione delle prime squadre. Per questa prima edizione il regolamento redatto prevede che, nel caso ci fosse una società che non ha un autistico in sala, come Accademia Scherma Lia daremo vita ad una sorta di prestito. Penso sia un modo per aumentare lo spirito di condivisione e collaborazione. Spero anche che faccia da sprone per le società, che potranno così porre un obiettivo concreto di gara ai propri atleti autistici.
Dietro la manifestazione di aprile c’è un lungo percorso che l’ha vista fondare a Roma l’Accademia Scherma Lia: come è nata questa avventura?
L’idea di questa sala scherma nasce ovviamente dal mio passato prima di atleta e poi di tecnico, per diversi anni ho collaborato con Sandro Cuomo nello staff della nazionale: la scherma è la mia vita. Inoltre, come neuropsichiatra infantile, ho sempre cercato di integrare la mia parte professionale con la mia parte sportiva. L’Accademia Scherma Lia è di fatto il sunto e il punto di congiunzione tra il mio camice bianco e la mia divisa bianca. La sala scherma nasce dedicata a mia moglie, che nel 2015 se n’è andata e proprio in quello stesso anno abbiamo inaugurato l’Accademia Scherma Lia. Era qualcosa che avevo già condiviso con lei, avevamo parlato spesso della scherma integrata, un’idea che le piaceva tantissimo. Quando mi sono trovato a ragionare sul nome che avrebbe preso quella realtà, Accademia Scherma Lia è venuto fuori da sé.
Scherma e autismo: in che modo si incontrano e come trovano un punto di coesistenza?
Sport e autismo, secondo me, sono sicuramente un connubio vincente. La scherma in particolare, poi, è uno sport che si dimostra molto utile per un ragazzo autistico perché, come prima cosa, l’avversario è a mezzo metro da te e questo costringe ad imbastire una relazione, che piaccia o meno. Il disturbo dello spettro autistico ha un deficit socio-relazionale: spesso il ragazzo autistico fa fatica a capire le intenzioni dell’altro, gli stati mentali dell’altro. Se ci pensiamo, la scherma allena proprio queste caratteristiche: in pedana alleniamo la capacità di capire e anticipare le intenzioni dell’altro. È attraverso una meta cognizione, quindi, che si riesce a portare la stoccata: la scherma allena proprio quello che nell’autismo è il problema, quello che in questa condizione è atipico. È uno sport meraviglioso. Si potrebbe dire – e mi è capitato – che anche il karate o la boxe fanno questo ma la scherma ha un qualcosa in più: ha un’arma, della quale solitamente il ragazzo autistico ha grande cura, che contribuisce a trasmettere sicurezza attraverso il gesto di impugnare qualcosa. E poi ha i suoni: quando porto la stoccata, si accende la luce. La sensorialità, spesso, nell’autismo è sviluppata: il canale uditivo e visivo rinforza positivamente il fatto di mettere la stoccata. Il feedback sonoro e visivo si rivela particolarmente importante. La scherma, in conclusione, si dimostra utile sia per gli aspetti meta-cognitivi, perché impone una relazione con l’altro, sia per l’utilizzo dell’arma e dei riferimenti visivo-uditivi, con i quali va a rinforzare positivamente l’attività che viene svolta. Oltre, come per esempio nella manifestazione Fencing for Autism, l’elemento squadra: nel momento in cui hai una squadra alle spalle, sei portato a sviluppare una relazione con i tuoi compagni.
La scherma è uno sport di opposizione uno contro uno: questo aspetto ha un peso nell’atleta autistico? Come si supera l’eventuale difficoltà?
Nella mia esperienza questo problema non si è mai presentato perché, alla fine, l’essere umano vive l’elemento della lotta e dell’opposizione quasi come un gioco. Battiamo molto sul concetto ludico del “toccare senza farsi toccare”, per cui, se si è bravi a proporla, la scherma non viene percepita come uno sport di opposizione quanto più come un giochino di furbizia, di comprensione dei movimenti dell’altro. Ci si focalizza soprattutto sull’aspetto mentale del riuscire a interpretare e anticipare il proprio avversario piuttosto che opporglisi.
In che modo si adatta l’approccio del maestro all’atleta affetto da un disturbo dello spettro autistico?
Sicuramente non è facile accogliere un ragazzo autistico perché l’approccio deve essere, in una prima fase, estremamente individualizzato. Anche perché nell’autismo ci possono essere spesso fastidi a rumori forti e le sale scherma sono generalmente ambienti piuttosto caotici. L’approccio deve essere sicuramente molto individualizzato e l’atleta autistico va introdotto magari in momenti che sono abbastanza di quiete, introducendolo gradualmente all’attività. Fondamentale, poi, è capire il livello cognitivo del ragazzo che abbiamo di fronte: in una percentuale di casi che arriva al 50% l’autismo si associa a quella che definiamo una disabilità intellettiva. Ovviamente avere a che fare con un ragazzino autistico che ha un perfetto cognitivo è un conto, in questo caso bisogna modulare semplicemente gli aspetti sensoriali e relazionali; nel caso di un ragazzo autistico che ha anche una disabilità intellettiva, bisogna far capire cognitivamente come funziona il “giochino scherma”. Per forza di cose l’approccio è sempre molto personalizzato.
Il momento di gara porta con sé un carico emotivo di base maggiore rispetto a un allenamento: come viene gestito il momento della competizione nel vostro metodo?
Come Accademia Scherma Lia abbiamo già portato i ragazzi in gara in diverse occasioni: come per l’allenamento, anche in questo caso ci troviamo di fronte a ragazzi diversi, con bisogni diversi e approcci alla gara differenti. È impossibile generalizzare. Il principio è che i ragazzi sono tutti diversi, con profili e bisogni differenti: è questa la nostra parola d’ordine. Ovviamente la competizione, considerando che a volte i ragazzi autistici hanno dei profili emozionali particolari, può risultare molto stressante. Il ragazzo va quindi preparato più in ambito neuro-fisico alla competizione: ad esempio, uno dei nostri ragazzi ha crisi di rabbia importanti quando perde, mentre altri reagiscono con maggiore freddezza e si focalizzano più su come eseguono il gesto tecnico piuttosto che sul risultato finale. Anche in questo caso è un percorso estremamente personalizzato.
Per la sua esperienza qual è la situazione attuale per quanto riguarda la consapevolezza sui disturbi dello spettro autistico nel mondo sportivo italiano e quali passi si possono fare per migliorarla?
Purtroppo c’è poco e nulla in questo momento sull’autismo nello sport. L’autismo è di fatto in una sorta di limbo e molte Federazioni sportive nazionali non offrono percorsi dedicati. Spesso mi è stato chiesto cosa fare, anche perché la situazione è molto particolare, perché l’autistico senza disabilità intellettiva, di fatto, può accedere alle gare normali: perché rinchiuderlo in un percorso ad hoc? Il contesto italiano è ancora molto immaturo, non ha dei percorsi e si rivela un contesto non pronto. Secondo me, a mancare in particolare è la formazione del personale: gli operatori sportivi ad oggi non ricevono né nelle facoltà di scienze motorie né nei percorsi di formazione professionalizzanti, una formazione sull’autismo. In questo la Federazione Italiana Scherma può sicuramente operare.
Qual è la situazione attuale delle sala scherma italiane per quanto riguarda il settore dedicato all’autismo?
Ho contatti amicali con diversi club in Italia che stanno iniziando un percorso in questo senso. Alla Mangiarotti, ad esempio, c’è qualche ragazzo autistico, così come al Circolo Schermistico Partenopeo a Napoli. Qualche sala sta iniziando, pur con grande fatica, ad introdurre dei ragazzi autistici. Se consideriamo che il rapporto è 1 autistico ogni 44 nati, in Italia ci sono circa 800.000 persone autistiche: è facile che i ragazzi autistici inizino ad avvicinarsi al mondo della scherma. Bisognerebbe sicuramente seguire una formazione ad hoc e mi metto a disposizione in questo senso: sarebbe molto utile se la Federazione prevedesse dei corsi di formazione per i Maestri.
Fencing for Autism è un primo esperimento di competizione integrata: ci sono altri progetti in merito?
Da quanto so è stato approvato il regolamento a cui, assieme a Rossana Pasquino e tutto il gruppo di lavoro, abbiamo lavorato per realizzare gare ad hoc per autismo e sindrome di down. Da parte mia, in quanto Presidente della commissione, c’è la volontà di dare un seguito a Fencing for Autism, dedicandoci anche a qualcosa di specifico per la sindrome di down.
Attualmente i ragazzi diagnosticati autistici gareggiano in un circuito apposito per quanto riguarda la scherma o nelle gare di calendario? Qual è l’obiettivo per il futuro?
L’idea ottimale sarebbe che ci fosse un circuito apposito per l’autismo e che l’autistico con un funzionamento cognitivo buono possa, se vuole, accedere anche alle gare normali, in un contesto di completa integrazione.
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