Essere Maestro di scherma – Episodio 5: Il bastone e la carota

Giancarlo Toran, essere Maestro di Scherma: episodio 5

Il Maestro Giancarlo Toran racconta la sua esperienza e la sua carriera di Maestro di scherma. Quinto episodio.

 

Cosa significa essere un Maestro di scherma? Non si tratta semplicemente di allenare un atleta, prepararlo per le competizioni, renderlo ogni giorno più forte e portarlo ai massimi livelli. Si tratta, soprattutto e prima di tutto, di crescere dei giovani, mostrar loro la bellezza di uno sport meno “facile” dei giochi con la palla, scoprire le loro inclinazioni e assecondarle. L’esperienza dei grandi Maestri italiani sta lì, accanto ai bambini come a fondo pedana dei campioni. Lo spiega molto bene Giancarlo Toran, Maestro della Pro Patria et Libertate Busto Arsizio e custode della memoria storia della scherma italiana. Toran ha iniziato a pubblicare sul suo profilo Facebook una riflessione stimolata da un suo ex allievo che ha al centro proprio il suo modo di concepire il ruolo di Maestro. È uno scritto che porta con sé una testimonianza straordinaria e per questa ragione, d’accordo col Maestro Toran, abbiamo scelto di pubblicarlo anche noi a puntate sul nostro sito.

Parla positivo!

Una vecchia storiella, sempre valida, racconta di un apprendista alchimista, convinto che il suo maestro avesse scoperto il segreto della pietra filosofale, per tramutare il piombo in oro. Ogni giorno perciò lo angustiava, lo tormentava, lo supplicava, sperando di farsi confidare il segreto. Alla fine il maestro capitolò, e gli spiegò una procedura complicata per ottenere il risultato. L’apprendista, felice, stava per congedarsi, quando il maestro gli disse: “Dimenticavo. È assolutamente necessario che durante tutto il procedimento tu non pensi mai ad un cavallo bianco”. Cavallo che diventò da allora l’ossessione del povero assistente, condannato al fallimento da quel diabolico suggerimento.

Morale: il nostro cervello non lavora in negativo. Non lo sa fare, o l’operazione lo rallenta. Se nel corso di un assalto dite all’allievo: “Non parare quarta!”, non meravigliatevi se subito dopo parerà proprio la quarta. Ditegli cosa deve fare (“Para terza!”) e non cosa non deve fare. Soprattutto se il tempo è poco, e la reazione deve essere immediata. Abolite, perciò, anche le frasi sciocche come “Non devi avere paura!”. Ditegli invece di essere coraggioso, come ha dimostrato di essere in altre occasioni, o come il suo eroe preferito.

Più utile ancora è imparare a ristrutturare la sua paura, la sua emozione invalidante. L’avrò fatto molte volte. Viene da te, lui o lei, subito prima di una gara, e ti dice che ha paura. Caga, come dite qui: se la fa addosso. Si aspetta qualche parola di conforto, o la solita frase sciocca di cui sopra. Prova invece a dirgli: “Molto bene! Sarei preoccupato se tu non ne avessi. Tutti hanno paura, prima di un confronto difficile. La differenza è solo nel modo di gestirla.” E giù qualche esempio, personale o no, di quella volta che… e poi qualche suggerimento, ad esempio sulla respirazione, sulla postura, e infine la suggestione: “Vai, tirerai bene, vedrai” o il comando paradossale: “Voglio che vinci quest’assalto. È un ordine!”. Che significa che io credo in te, quindi puoi farcela.

Il bastone e la carota

Qualche metaforica bastonata a volte ci vuole, può dare la scossa risolutiva. Mi pare però che troppo spesso si preferisca il rimprovero: trovare quel che non va, e portare i riflettori su quello. Se le cose non si bilanciano, non meravigliamoci se poi l’atleta perde la fiducia in sé stesso.

Il rimprovero colpevolizza. Se c’è un errore, si può correggere. Ma se quello sbagliato sei tu, c’è poco da fare.
Prima di tirare la bastonate di cui sopra, bisognerà rinforzare per bene le spalle di chi dovrà riceverle. Spalle robuste sta per fiducia in sé stessi. Come farla crescere? Credo che il modo migliore stia nel valorizzare il buono che c’è. Anche il più sfigato (prendo in prestito da te questa parola) degli allievi, fra le tante cose che non sa fare, ne avrà una che saprà far bene, o benino. Su quella bisogna puntare i fari, apprezzando e lodando. Abituato com’è a sentirsi rimproverare, una lode, ma anche più d’una, gli faranno venir voglia di impegnarsi, di guadagnarne altre. L’autostima crescerà, e tanto. Se anche non diventerà un campione, e non è detto che non lo diventi, ne verrà fuori una persona più soddisfatta di sé.

Ricordo un Matteo sciabolatore. Tirava certe legnate… il pollice della mia destra disastrata ne soffre ancora. La finezza del gesto sembrava proprio non fare per lui. La buona volontà però c’era. Lo mettemmo ad arbitrare, era bravo, gli piacque. Arbitrando capì meglio quel che faceva, e migliorò tantissimo, fino a entrare in una finale nazionale dei giovani. Oggi è medico chirurgo. Forse la scherma gli ha dato una mano, in tutti i sensi.

C’era poi Alice, che le gare proprio non voleva farle. Temeva il confronto, la sconfitta. Aveva di sé un’immagine poco combattiva. Alla prima occasione in cui tirò fuori un minimo di combattività, in pedana, presi a lodare quel che ancora non aveva, e la soprannominai “Alice mannara”. Mi ero ispirato al lupo mannaro di quando ero bambino io. Le piacque, pian piano entrò nel personaggio. Lei non immagina quanto fui contento vedendola salire sul primo gradino del podio in una gara importante.

Giancarlo Toran | Biografia

Tarantino, ma oriundo napoletano per via del padre e della moglie, nota come la Toranna, ha incontrato la scherma quando, in genere, i più la lasciano: a 19 anni, all’Università, col Maestro Vittorio Bassetti, sciabolatore. Ha praticato con buoni risultati tutte le armi, prima da dilettante (classificato in tutte e tre, e prima categoria di spada e fioretto), poi come maestro (due titoli mondiali, ad Atene, spada e sciabola, e altre medaglie, e titolo italiano in tutte e tre), infine come Master (titolo italiano e un bronzo mondiale a squadre nella spada, ma da mancino). Dopo il diploma di Maestro presso l’Accademia di scherma di Napoli, nel ’75, ha insegnato per sei anni alla Nedo Nadi di Salerno, laureandosi in Scienze Naturali dopo essersi sposato, e dal 1980 presso la Pro Patria di Busto, dove dal 2012 è anche direttore del Museo dell’Agorà della scherma. Si occupa anche dei suoi due atleti non vedenti, entrambi vincitori di titoli italiani.
Presidente dell’Aims dal 1993 al 2008, si è occupato a lungo della formazione dei Maestri, ed ha scritto le “Dispense di spada”, poi adottate come testo per gli esami. Molte sono le pubblicazioni al suo attivo, per la Treccani, per la Fis (due volumi per celebrarne il centenario), oltre a numerosi articoli tecnici. Ultimi lavori, per ora, pubblicati di recente, una biografia della Maestra Marisa Cerani, e le memorie di Giuseppe Mangiarotti.

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Foto Giancarlo Toran/Facebook