Il nostro insider è stato alla prova di qualificazione Olimpica europea a Differdange, in Lussemburgo. E ci racconta di come tutto un paese si sia stretto attorno a Flavio Giannotte, beniamino locale, per spingerlo verso Parigi. Anche se la favola non ha avuto un lieto fine, l’atmosfera del palazzetto e del tifo è stata ugualmente da brividi.
Questa non è la storia di un’impresa eccezionale; non è una favola a lieto fine; non è una tragedia, né una commedia. È la storia di un “piccolo” spadista italo-lussemburghese e del suo obiettivo di vincere i meccanismi di una qualifica spietata ed ingiusta per andare alle Olimpiadi.
La gara di qualifica zonale europea si svolge tra le mura di una scuola della cittadina di Differdange. La palestra è perfetta nel senso più nordico del termine, l’organizzazione è puntuale. Certo, come d’abitudine per il nostro sport, non ci sono spalti né platee, non ci sono giochi di luci né maxischermi. Eppure l’atmosfera è densa e carica di elettricità come nelle grandi occasioni. La tensione è palpabile nell’aria e camminando tra le pedane ci si sente come a nuotare nella marmellata. I volti degli atleti sono pallidi e contratti, i loro occhi guardano oltre le cose e le persone su cui si posano, persi in pensieri inafferrabili dall’esterno.
Questa non è la storia di un’impresa eccezionale, dicevamo, né è una favola a lieto fine. È il racconto di una buona gara, quando fare una buona gara non basta. È il racconto di un “piccolo” italo-lussemburghese che abbassa la maschera, mette botte spettacolari e commette errori, gestisce momenti di vantaggio e si fa rimontare, vince e perde. Perde, sì. E non in finale, alla priorità, con tutto il pathos e il dramma che ci si potrebbe immaginare. Perde l’assalto per andare a podio, lontano dal sogno di qualificarsi, ma con la sensazione che non fosse poi così impossibile. E quindi niente lieto fine per Flavio Giannotte, niente miracoli.
Eppure qualcosa di straordinario è capitato: è capitato che decine di persone siano venute a vedere questa gara, nonostante forse non avessero mai visto la scherma in vita loro. Decine di persone hanno seguito il loro beniamino dalle prime ore della giornata con applausi, cori, urla, striscioni; decine di persone hanno gioito, sofferto, talvolta hanno tentato di influenzare l’arbitro; decine di persone si sono fermate ad applaudire Flavio per minuti e minuti, anche dopo la sconfitta. Giannotte ed il suo pubblico sono in perfetta sintonia tutto il giorno: quando l’uno chiama, affamato di sostegno in un momento così psicologicamente difficile, l’altro risponde. E non importa se qualche dinamica sfugge (c’è chi, con innocenza, già a metà girone parla della fine della competizione; chi chiede qualche chiarimento sulle regole del gioco; chi si affanna per capire a chi sia stato assegnato il punto), perché l’entusiasmo è sincero e genuino. Lo si percepisce a gara finita quando Flavio esce dallo spogliatoio, visibilmente provato nel corpo e nello spirito, e gli applausi partono ancora, insieme ad un fiume di abbracci, pacche sulle spalle, birre offerte. In fondo non importa che la classifica lo releghi al sesto posto, perché oggi è stato bravo agli occhi di tanta gente che ha sognato con lui e per lui.
E allora è vero che Giannotte non ha ottenuto la tanto agognata qualifica olimpica, ma ha dimostrato qualcosa che, per il nostro piccolo mondo sportivo abituato a palazzetti vuoti, silenzi imbarazzati e sguardi disinteressati, è spesso creduto irrealizzabile: la scherma è uno sport che può affascinare, emozionare e coinvolgere non solo gli addetti ai lavori. È una disciplina tanto bella e crudele di cui chiunque se ne può innamorare al punto da perderci la voce per il troppo tifo. Flavio Giannotte oggi è entrato in questo palazzetto sognando le olimpiadi. Noi ne usciamo col sogno di portare lo spirito e la carica delle Olimpiadi in ogni palazzetto.
Carol
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Foto Eva Pavia/ Bizzi Team