L’analisi della gara di Filippo Macchi ai Giochi Olimpici di Parigi 2024, chiusa con l’argento. L’azzurro ha fatto innamorare l’Italia malgrado il finale amaro.
«Non è ancora finita!». Appena chiusa la sua semifinale contro Nick Itkin, dominata in lungo e in largo contro un avversario fortissimo rimasto totalmente in balia della scherma perfetta di Filippo Macchi, il fiorettista Azzurro guarda dritto negli occhi Stefano Cerioni e pronuncia quella frase. C’è ancora una pennellata da dare al proprio capolavoro e alla gioia per aver comunque centrato la certezza di una medaglia, il fiorettista toscano privilegia il rimanere concentrato sulla preparazione di un assalto che vale una carriera. A ventidue anni, alla prima partecipazione Olimpica, senza “accontentarsi” ma soprattutto senza farsi spaventare dal peso dell’appuntamento con la Storia, quella con la S maiuscola.
Pippo Macchi è un uomo in missione e con Parigi ha un rapporto speciale. Nel gennaio 2023 chiude con la sua prima finale a otto quell’edizione del Challenge International de Paris, primi segnali di esplosione definitiva di un talento che già nelle categorie giovanili stava lanciando tutti i segnali sul fatto che l’Italia del fioretto si trovava fra le mani un altro diamante purissimo soltanto da sgrezzare. Nemmeno un mese dopo, a Torino, sarebbe andato a una sola stoccata dalla vittoria del Grand Prix, a giugno la gara perfetta che lo ha consacrato campione d’Europa a Plovdiv. Passa un anno e il destino schermistico del ventitreenne di Navacchio si intreccia nuovamente con la Ville Lumiere. C’è Pippo fra i magnifici quattro che sbancano il CIP 2024 tingendo completamente d’azzurro il podio della classicissima francese. Sorride dal terzo gradino del podio e manda messaggi d’amore a Parigi, a un pubblico che lo ha eletto idolo e che al termine di ogni assalto allungava dalla tribune un guanto o un pezzo di carta di fortuna per farsi fare un autografo al volo. E quel pubblico, che aveva ancora negli occhi le scene della grande festa tricolore sublimata dalla finale tutta francese nella sciabola femminile, ha provato ancora una volta a spingerlo sul gradino più alto del podio scandendo un ritmato Filippò! Filippò! durante la finale contro Cheung Ka Long e tributandogli una standing ovation dopo l’amarissima conclusione del match contro l’hongkonghese.
Una finale stellare per pathos, drammaticità e qualità della scherma espressa dai due atleti in pedana. E non poteva essere diverso, perché per tutta la giornata Macchi e Cheung hanno tirato da fuoriclasse quali sono. E malgrado il peso della posta in palio, nella finalissima se le sono date di santa ragione, onorando come meglio difficilmente si poteva fare il palcoscenico da brividi che ospita le gare di scherma. Non torneremo qui sulle polemiche e sulla coda del match. Qui vogliamo parlare della gara perfetta di Pippo, dei brividi (anche di paura, come quando ha subito la rimonta di Matsuyama dopo essere andato avanti 7-2) che saputo regalare agli appassionati di scherma e anche a chi, alla scherma si è avvicinato la prima volta. Non era lui il più atteso fra gli Azzurri nella gara di ieri, ma a fari spenti Pippo ha marciato a passo spedito nel tabellone, tenendo altissimo il numero dei giri motore e il livello della sua scherma. Anche e soprattutto quando l’asticella della sfida si è alzata. Mohamed Hamza e Nick Itkin sono avversari tutt’altro che banali da trovarsi di fronte, eppure né l’uno né l’altro sono riusciti a capirci qualcosa, travolti dal tifone che spirava da Navacchio.
E anche un mostro come Cheung Ka Long ha sofferto e non poco l’ispirazione di Super Pippo. Sul 12-14 ha tremato, ha visto il baratro aprirsi sotto i piedi, trovando poi la reazione che ha mandato all’ultima stoccata la risoluzione della contesa. Come sia andata lo sappiamo purtroppo tutti, ma anche nel momento più buio, quando la rabbia e la delusione potrebbero offuscare la mente e lasciare correre liberi i pensieri con il rischio di dire qualcosa di cui pentirsene successivamente, Macchi trova comunque modo di dimostrarsi Campione: «La scherma è uno sport è a discrezione degli arbitri, ma è colpa mia perché ero in vantaggio per 14-12 e dovevo chiudere prima il match».
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Foto Augusto Bizzi