La grancassa delle Olimpiadi, se da una parte avvicina nuovi appassionati agli sport, dall’altra porta sempre con sé lo spiacevole corollario di hating e insulti sui social. E la scherma non fa purtroppo eccezione.
«Mi piacerebbe ricordare che dietro agli schermi ci sono delle persone. Persone che possono leggere i tuoi commenti sui media e sentirsi ancora peggio dopo aver lavorato così duramente per arrivare qui». Inizia con queste parole il post di sfogo scritto dalla sciabolatrice spagnola Lucia Martin Portugues, rimasta evidentemente toccata dalle tante critiche (facile immaginarne anche il tono) ricevute dopo l’eliminazione al primo turno dalla prova individuale di Parigi 2024. Difficile pensare che la trentatreenne madrilena possa essere stata contenta del risultato ottenuto e di aver visto sfumare il proprio sogno Olimpico nel poco meno di un quarto d’ora in cui è stata in pedana al Grand Palais prima di essere eliminata da Anna Marton. «Per mia disgrazia molti spettatori dei Giochi si sono trasformati in schermidori professionisti» ha rincarato l’iberica, prima donna a riportare la bandiera della Spagna ai Giochi a distanza di 16 da quando la sua compagna di squadra Araceli Navarro gareggiò a Pechino 2008 «giudicando le mie capacità di sportiva e alcun persino il mio percorso di studi in vista del futuro ritiro dallo sport senza sapere nulla di me né di sport di alto livello».
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Una storia che si ripete puntualmente ogni quattro anni. I Giochi Olimpici, è risaputo, sono un’enorme vetrina di visibilità per tanti sport che normalmente (e ingiustamente, ma questa è un’altra storia) di questa attenzione non ne godono. E se da una parte può acchiappare nuovi appassionati e al contempo provare a reclutare nuove leve per alimentare il movimento, dall’altra si espone inevitabilmente ai commenti di chi, pur a digiuno di conoscenze su sport e soprattutto su atleti e persone che in poche ore si giocano il lavoro di quattro anni, continua a non comprendere il basico concetto che libertà di espressione (anche critica, ça va sans dire) e libertà di insulto non sono fra loro compatibili. Perché se la prima è sacrosanta e inviolabile, la seconda è odiosa, vile e, non ultimo passibile di denuncia. Un morbo, quello dei leoni da tastiera, cui purtroppo nemmeno la scherma è immune.
Succede così che Alessio Foconi, iridato individuale 2018 e colonna portante dei tanti trionfi dell’Italia nelle gare a squadre fra Coppa del Mondo, Europei e Mondiali, diventi per il tribunale popolare dei social il colpevole unico della sconfitta dei fiorettisti nella finale contro il Giappone nella prova a squadre di domenica 4 agosto. La fredda cronaca impone di annotare il parziale negativo del ternano contro Nagano come decisivo per spezzare il grande equilibrio intercorso fino a quel momento in un match schermisticamente bellissimo, ma da qui a fare di Alessio un capro espiatorio di strada ne passa. Un po’ perché un argento alle Olimpiadi è sempre un gran risultato, un po’ perché il podio ai Giochi per i fiorettisti Azzurri, che devono confrontarsi con una concorrenza di livello sempre più elevato, mancava da Londra 2012. Eppure un esercito di schermidori da tastiera hanno fatto gara nel dare contro a un professionista che ha fatto dell’impegno e del duro lavoro il proprio marchio di fabbrica fra battute sarcastiche, insulti e inviti a pensare più agli affari di pedana e meno a fare i video su tik tok o Instagram.
A volte non basta nemmeno vincere una medaglia d’oro per mettersi al riparo dagli haters. Andando a scorrere i commenti sotto al post di Rossella Fiamingo immediatamente successivo all’oro nella prova a squadre dello scorso 30 luglio, nel mare magnum di complimenti e congratulazioni non manca chi, con malinteso senso del muoversi “in direzione ostinata e contraria” di deandreana memoria, non trova di meglio da fare se non rimarcare alla catanese il parziale negativo subito in avvio di assalto contro la Francia. Nello specifico, lo 0-3 rimediato da Vitalis reso poi ininfluente dallo splendido lavoro di squadra delle compagne e, cosa ben più importante, dalla stoccata decisiva di Alberta Santuccio a lanciare in orbita le Azzurre. Commenti ingenerosi e quanto meno figli di una memoria pericolosamente a breve termine. Bastava aver visto la semifinale contro la Cina, dove la due volte campionessa del Mondo ha chiuso il propri impegno con saldo di +10. Per tacere delle tante volte in cui l’apporto di Rossella Fiamingo era stato decisivo per le sorti del team Azzurro. Piccole gocce in un mare fatto per fortuna di tanto sostegno e felicitazioni, ma che sono comunque indicative di quanto le parole di Umberto Eco sulla pericolosità dei social network fossero veritiere.
«Il campione viene visto come una macchina ma è un essere umano: vince, perde, rivince e riperde» aveva dichiarato la fuoriclasse siciliana qualche mese fa in un’intervista a Fanpage. Un aspetto, quello dell’umanità, troppo spesso dimenticato in un società in cui la competizione è feroce e dove fra gloria e fallimento tertium non datur. Soprattutto dagli schermidori di tastiera, pronti già ad appendere maschera e guanti al chiodo ora che le luci al Grand Palais si sono spente.
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Foto Eva Pavia/Bizzi Team