L’Iconica venue che ha ospitato le gare di scherma a Parigi 2024 ha regalato a questo sport un palcoscenico incredibile. E il pubblico ha fatto il suo.
«Quando il luogo di gara è iconico, l’atmosfera è garantita e lo show in pedana fantastico» ha scritto sui propri social Azza Besbes, ex sciabolatrice tunisina, lasciando qualche spunto per migliorare visibilità e appeal della scherma appena dopo la fine dei Giochi di Parigi. «Ho ancora i brividi oggi. C’erano 8000/9000 persone solo per la scherma, è una cosa folle!» ha invece dichiarato all’Equipe Julien Mertine, medaglia di bronzo nella prova a squadre di fioretto maschile lo scorso 4 agosto. E anche Mara Navarria, Giulia Rizzi e Alberta Santuccio, nostre ospiti nella trasmissione “Controtempo” hanno confermato con le loro parole brividi e sensazioni che già da casa erano sembrate lampanti: gareggiare al Grand Palais è stata una vera figata. Non una novità per la scherma, che già nel 2010 qui aveva visto di scena il Campionato Mondiale, ma il fatto che in palio ci fosse il massimo traguardo possibile per chi pratica sport ha amplificato ancora di più la sensazione di trovarsi dentro a un kolossal. L’ingresso in scena dall’alto, scendendo la scalinata che conduce fino alla pedana centrale dove si disputavano le finali, è stata una scelta azzeccatissima sotto l’aspetto scenografico e ha esaltato ancora di più l’importanza dell’evento.
A tutto questo va aggiunta l’incredibile cornice data dal pubblico sugli spalti. Dieci giorni di tutto esaurito, tribune piene e un tifo incessante per gli schermidori di casa con i decibel arrivati a livello tale che a volte era impossibile per chi tirava sentire i comandi dell’arbitro o le indicazioni dei Maestri dalla panchina. E anche quando in pedana non c’erano francesi, il pubblico ha seguito con medesima passione e coinvolgimento le gare, tributando una standing ovation a Olga Kharlan dopo il bronzo individuale nella sciabola femminile o provando a spingere il nostro Filippo Macchi per tutta la durata la sfida contro l’Hong Konghese Cheung Ka Long scandendo un ritmato Filippò! Filippò! dalla prima all’ultima stoccata. Ma gli esempi che si potrebbero fare sarebbero infiniti. Ciò che si è visto, da fuori, è stato un mutuo scambio emozionale fra pubblico e atleti in pedana. L’uno che esalta vicendevolmente l’altro in un ricircolo continuo. Immagini che stridono con quelle dei palazzetti desolatamente vuoti a fare da cornice (con pochissime eccezioni) alle gare di Coppa del Mondo. Naturalmente non siamo qui a fare paragoni che non reggono ancora prima di partire: non tutti i giorni è Olimpiade, non tutti i giorni si gareggia a Parigi, non tutte le città e le sedi di gara dispongono di strutture che possano essere paragonate al Grand Palais.
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Ma su questo punto si innesta la seconda parte del ragionamento di Azza Besbes. Perché se gareggiare sotto le vetrate della struttura pensata e costruita per l’Expo del 1900 è stata una cosa meravigliosa per quanto difficilmente ripetibile perlomeno a brevissimo termine, dall’altra parte ha settato un nuovo standard per quanto riguarda la venue di gara. Spiega ancora la sciabolatrice tunisina: «La FIE dovrebbe fare in modo che le competizioni si svolgano sempre in questo tipo di contesti per attirare sponsor e media. Attualmente le competizioni si svolgono in luoghi che non sono utili allo show. Nessuno sponsor o media verrà dal nostro sport finché si svolgeranno in queste location tristi, con riprese e illuminazione di poca qualità». Difficile darle torto, pur consci che trovare una soluzione ideale sia compito tutt’altro che semplice perché è indubbio che il contesto dei Cinque Cerchi abbia fatto tutta la differenza di questo mondo. A Londra 2012 così come a Rio 2016, pur non disputandosi in contesti di pari iconicità rispetto a Parigi 2024 e in paesi in cui la scherma non occupa i piani alti nella hit parade dei gusti nazional-popolari, le gare Olimpiche hanno ugualmente goduto di un pubblico caldo e appassionato. E facilmente sarebbe stato uguale a Tokyo 2020 se solo il covid non avesse imposto la surreale cornice di spalti vuoti e rumorosamente silenziosi.
In attesa di trovare una soluzione alla questione sollevata da Azza Besbes, in realtà l’ultima in ordine di tempo ad aver messo in luce il problema della poca visibilità della scherma, non resta che chiudere gli occhi e provare a immaginarsi nuovamente al Grand Palais. E dopo un sospiro, affermare ancora una volta: «Che figata!»
Twitter: agenna85
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Foto Eva Pavia/Bizzi Team