La musica ascoltata dagli atleti in gara e nella vita di tutti i giorni. La selezione di Maurizio Rosoni.
Spiegare a parole cosa significhi per me la musica è estremamente difficile. Mi verrebbe da dire che è stata una colonna sonora che mi ha accompagnato per tutta la vita. Non mi sono mai preoccupato granché dei testi, ma mi sono sempre immerso nelle note lasciandomi trasportare in quello che poteva essere quasi un mondo parallelo. Ricordo quando a 15 anni comprai “Quadrophenia”: il mio inglese era stentatissimo, ma in qualche modo riuscii a capire tutta la storia narrata quasi senza prestare attenzione ai testi (Grazie Pete). Ho avuto la fortuna di essere cresciuto in un momento storico in cui il mondo della musica e del cinema ha avuto una fiammata che ha lasciato il segno nei decenni successivi. Ho provato a cimentarmi con il pianoforte e il sax, ma la passione che avevo non era purtroppo pari al talento, rimanendo quindi poco più che un amatore che andava a suonare a feste e matrimoni; riuscendo però a immergermi in quel mondo e rimanendo tra le quinte in qualità di tecnico per 32 anni. Alla mia età, quando viene richiesta una playlist si corre il rischio di fare un elenco di “classici” del prog e dei generi che andavano negli anni d’oro della mia giovinezza. Per questo ho voluto proporre invece ambiti e spazi differenti tra loro.
- Traffic: Empty pages. L’avvento del digitale ci ha portato in un mondo di suoni perfetti puliti e a mio avviso, omologati ed anonimi. Ad un certo punto Steve Winwood parte con un solo di piano (credo un Rhodes), che adesso risulterebbe imperfetto e distorto, ma che rende quell’assolo in realtà unico e irripetibile.
- Nick Drake:one of these things first. La carriera di questo personaggio è durata il tempo di un fiammifero acceso controvento, lasciandolo semi sconosciuto fin che era in vita. Ma quando lo scoprii mi procurai i tre album che aveva inciso, e mi colpì quanto nel giro di due-tre anni la voce si era tramutata come se fosse trascorso in realtà il tempo di una vita intera. Questo pezzo mi trasmetteva in qualche modo un insieme di gioia e tristezza, indipendentemente dal testo narrato.
- John Coltrane: My favorite Things. Quando il talento riesce a tramutare una canzonetta da due lire in un classico. La prima vota che lo sentii ebbi la presunzione di trascriverne le note e provarlo sul mio sax, affascinato da alcuni passaggi maggiore/minore/diminuito. Primo tentativo: stonava. Lo riascolto, controllo: le note sono corrette. Riprovo: stona. Mi resi conto di quello che distingue un esecutore da un genio; Coltrane e il suo strumento erano una cosa sola, uno di quei connubi rarissimi che fanno si che qualsiasi cosa tu interpreti non sia né giusto né sbagliato ma un qualcosa al di là delle due categorie. Credo sia un po’ come quando si è in pedana. Quando tu e la tua arma siete una cosa sola non esiste più l’azione giusta o l’azione sbagliata ma esiste un atleta di classe superiore e non imitabile.
- Rolling Stones: No Expectations. Sarà capitato a tutti di sentire almeno una volta la diatriba “Erano meglio i Beatles o i Rolling Stones”? In realtà è come paragonare Pelè e Cassius Clay; l’unica cosa che li accomunava era il periodo in cui erano attivi, ma cose tra loro molto diverse. Questo pezzo è uno dei più belli che abbia mai sentito sulla fine di un amore; che sia per una uomo una donna, ma anche un luogo (non a caso parla di stazioni e aeroporti) un cambio di vita o qualsiasi cambiamento vissuto come un perdita.
- Popa Chubby: sweet goddess of love and beer. Incrociato una ventina di anni fa, 130 Kg di delinquenza, scorbutico e attaccabrighe. Regolò le manopole dall’amplificatore in modo tale che temevamo che sarebbe esploso al primo accordo. Al mio tentativo di dirgli qualcosa al riguardo rispose con un “DON’T TOUCH ANYTHING!!!!!!” molto dissuasivo. La sera, le dita di quel energumeno si trasformarono in libellule capaci di generare suoni che parevano impossibili provenire da quell’energumeno. Un po’ come quando ti trovi di fronte un avversario con una punta volante e ti rendi conto che ti ha toccato solo perché l’arbitro dà l’alt e vedi la sua luce accesa ma non hai la minima idea di cosa sia successo.
- Tom Waits: hang on st christopher. Siamo in un epoca in cui vengono premiati ed apprezzati gorgheggi, virtuosismi, abbellimenti, e amenità varie. Personalmente continuo a preferire voci sporche ma che ti fanno venire la pelle d’oca. Meglio un atleta perfettamente impostato o uno efficace ed imprevedibile?
- Stooges: I wanna be your dog. Considerati un gruppo maledetto e delinquenziale, in realtà nella storia personale di Iggy si scopre che la sua formazione musicale era assai variegata passando dal surf al blues di Chicago fino a prendere la propria forma personale. Mi piacerebbe riuscire a fare la stessa cosa nel mio percorso di tentato maestro, poter prendere da varie didattiche per poter trovare un mio modo personale. Temo di non avere lo stesso talento schermistico che Iggy aveva nella musica.
- Morphine: honey white. Dopo gli anni 70 è esistito ancora qualcuno con la voglia di provare, ricercare ed innovare. Formazione molto particolare, basso a due corde (inventato), sax e batteria. Mark Sandman morì durante un concerto. A volte mi chiedo: sfortuna morire a 46 anni o fortuna di chiudere mentre si sta facendo la cosa che più si ama al mondo e prima di subire i torti del tempo?
- Stevie Ray Vaughan: Lenny. Conosciuto sopratutto per i suoi virtuosismi, ma a me piace ricordarlo per le atmosfere evocate in questo pezzo immortalato oltretutto in un bellissimo video live da “El Mocambo” locale canadese, con la sigaretta in bocca e avvolto in una nuvola di fumo
- The Who: Summertime blues. 1979 Frejus prima uscita ufficiale dopo la morte di Keith Moon. Si parte in 4 con un maggiolone verde e riusciamo ad entrare senza biglietto. Finalmente riuscivo a vedere di persona queli che più di chiunque altro erano riusciti a mettere in musica i conflitti dell’adolescenza maschile senza stereotipi e insalate di aria fritta. Fine concerto, bis “Summertime blues” quello di Woodstock. Pensai che volevo morire li in quel momento ritenendo che una emozione così non la avrei mai più provata in vita mia. In parte è stato vero….”
La playlist di Maurizio
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