Nel 1936 partecipò alle Olimpiadi di Berlino malgrado fosse di discendenza ebraica e vinse la medaglia d’argento. La sua scelta di partecipare salvò di fatto i Giochi del Führer, ma fece e fa tuttora discutere.
Non ci fosse stata lei, Helene Mayer, probabilmente la storia dello sport non avrebbe mai conosciuto il nome di James Cleveland Owens. Per tutti, Jesse. Vista con il senno di poi, l’apparizione sulla scena del forte velocista di colore non sarebbe stata tanto gradita ad Adolf Hitler, ma il danno d’immagine per la sua Olimpiade sarebbe stato indubbiamente di maggior conto qualora l’intera delegazione statunitense non si fosse presentata a Berlino in quel 1936. Il Führer è al potere da circa tre anni e l’Europa, in quel momento, si sta godendo quelli che sarebbero stati gli ultimi scampoli di belle epoque prima di precipitare nel buio della guerra.
La protagonista della nostra storia, invece, da qualche anno vive negli Stati Uniti: pur essendo una vera e propria diva delle pedane, talentuosa e vincente con un fioretto in pugno, la vita per lei si è fatta dura in Germania dopo la salita al potere di Hitler. Il papà Karl Ludwig Mayer, di professione fisico, è infatti ebreo. Ed essere ebrei nell’epoca del Terzo Reich significa soltanto guai: la folle politica razziale del dittatore tedesco, infatti, sfociata nelle promulgazioni delle leggi razziali, di fatto priva gli ebrei, e i loro discendenti, della cittadinanza. Purtroppo la Storia, quella con la S maiuscola, avrebbe raccontato che ciò sarebbe stato solo un triste preludio di quello che sarebbe accaduto negli anni successivi.
Fino all’avvento di Hitler, Helene vive una vita tranquilla. Nasce nel 1910 a Offenbach, alle porte di Francoforte e fin da subito rivela una naturale predisposizione per la scherma: tecnica sopraffina, grande sensibilità nella mano e uno splendido gioco di piedi le sue caratteristiche principali. Senza contare che questa ragazza baciata dal talento è in grado di disimpegnarsi con uguale disinvoltura anche nell’equitazione, nel nuoto, nello sci e nella danza. Curiosità a margine: nel 2000, la prestigiosa rivista americana Sports Illustrated la nomina la più grande schermitrice di tutti i tempi. Scherzi del destino, proprio nell’anno in cui una giovane ragazza di Jesi inizia a gettare le basi per aggiornare a suon di record quel verdetto. Ma questa è un’altra storia.
Nel 1924 Helene Mayer si laurea, a nemmeno quattordici anni, campionessa di Germania. Quattro anni dopo, alle Olimpiadi di Amsterdam, centra il titolo Olimpico, mentre nel 1929 e nel 1931 sbaraglia la concorrenza ai “Campionati Internazionali di scherma”, antesignani dei Campionati Mondiali aperti solo a tiratori europei. Nemmeno a dirlo, anche questi sarebbero finiti nel suo personale carniere: a Parigi, nel 1937, dove si tenne la prima edizione. Diventa così la prima donna a potersi fregiare ufficialmente del titolo di campionessa del Mondo.
Nel 1932, alle Olimpiadi di Los Angeles, Helene è ancora in lizza per le medaglie ma proprio mentre sta per cominciare la gara, riceve una notizia tanto inattesa quanto tragica: la morte del suo fidanzato di allora, un cadetto della Marina americana. Malgrado il lutto, la fiorettista tedesca si spinge fino alla poule finale, ma non riesce a concludere sul podio: l’oro va all’austriaca Preiss, mentre lei chiude al quinto posto. Chiusi i Giochi, e sfruttando una borsa di studio, la Mayer si stabilisce negli Stati Uniti, dove inizia a dominare e fare raccolta di titoli nazionali anche oltre Oceano.
Nel mentre, in Germania, si fa sempre più oscura l’ombra del Nazismo: Hitler prosegue spedito la sua corsa al potere e, mossa dopo mossa, comincia a spingere il Mondo intero verso il baratro. Helene viene dapprima espulsa dal suo club di scherma, quindi arriva il colpo di grazia: le leggi di Norimberga, varate nel 1935, la privano infatti della cittadinanza tedesca per via della sua discendenza da genitori ebrei, e poco importa che lei sia non praticante. Senza un posto dove potersi allenare e fiutando l’enorme pericolo che correrebbe tornando in patria, decide di fermarsi negli Stati Uniti, mantenendosi come insegnante di tedesco e dando lezioni di scherma. Ma le Olimpiadi di Berlino sembrano essere sempre di più un miraggio, senza contare che su di lei pende l’infamante, per la temperie dell’epoca, etichetta di “tedesca di sangue misto”.
Il Nazismo ormai ha gettato la sua maschera e appare per quello che è: uno spietato regime totalitario. E negli Stati Uniti, la maggior potenza sportiva Mondiale, tutto questo non passa inosservato, al punto che da più parti nell’opinione pubblica americana, comincia a levarsi forte la voce che spinge al boicottaggio. Perdere gli Stati Uniti sarebbe un colpo terribile per la Germania, che ha speso tantissimi soldi per allestire un’edizione dei Giochi che avrebbe dovuto certificarne la grandezza agli occhi di tutto il Mondo.
E così, quando i delegati USA fanno visita nella capitale del Reich, i manifesti a sfondo razziale vengono rimossi dai muri della città, mentre Goebbels per rassicurare gli americani comunica loro la convocazione di Helene Mayer. Una mossa furba, che non solo assicura alla Germania la presenza di un’atleta formidabile in ottica medaglie, ma anche e soprattutto si rivela lo stratagemma politico perfetto per distogliere gli Stati Uniti dai propri intenti di boicottaggio. L’Olimpiade è salva, anche se il dominio di Jesse Owens è tutt’altro che apprezzato da Hitler, a maggior ragione dopo che la freccia americana, dopo aver dominato in lungo e in largo nelle gare veloci, si porta a casa anche il salto in lungo stracciando il campione tedesco Luz Long.
Naturalmente anche la Mayer fa valere il suo talento in pedana. La gara è un’autentica maratona, peraltro spalmata su due giornate: c’è una prima fase a gironi, quindi due ulteriori gruppi all’italiana che servono a determinare le otto tiratrici che vanno a giocarsi la medaglia. Anche qui, con il sistema della poule. La beniamina di casa si batte con grande valore, ma questa volta non le basta, perché a vincere è l’ungherese Ilona Elek: la fuoriclasse tedesca si deve accontentare della medaglia d’argento. Sul podio, Helene Mayer fa il saluto d’ordinanza e grida “Heil Hitler!”. Ma come è possibile? Per quale motivo la stessa atleta che per il solo fatto di essere di discendenza ebraica ha perso diritto di cittadinanza tedesca, ora non solo gareggia per la Germania ma tributa tutti gli onori del caso al suo sanguinario dittatore?
La foto di quel podio è diventata iconica. Ma soprattutto ha sollevato tantissimi interrogativi: per quale motivo la Mayer ha accettato la convocazione? Secondo alcuni, alla base c’è un motivo meramente sportivo, la voglia di riscatto dopo la mancata medaglia di Los Angeles. Altri sostengono invece che a spingere Helene verso il ritorno in Germania fosse stata la voglia di rivedere la madre, rimasta in patria anche dopo la morte del marito nel 1931. Un’ultima teoria, infine, parla di un possibile do ut des: la partecipazione ai Giochi in cambio della piena restituzione dei diritti di cittadina. Nel caso, patto disatteso appieno dal regime.
Finite le Olimpiadi, infatti, la Germania non sembra più ricordarsi di lei. Nella sua biografia dedicata alla figura di Helene Mayer, Milly Mogulof racconta un episodio accaduto nel 1937. La fiorettista di Offenbach ha appena vinto l’oro Mondiale a Parigi e chiede a un’amica quale eco abbia avuto la sua impresa in patria. La risposta è: nessuna. Decide di tornare negli Stati Uniti, diventandone a tutti gli effetti cittadina nel 1940. La Germania l’avrebbe rivista solo 12 anni più tardi, nel 1952. A Monaco di Baviera si sposa con un vecchio amico d’infanzia, quindi si trasferisce sulle colline poco sopra Stoccarda, dove muore a causa di un tumore due mesi prima di compiere 43 anni.
Post Scriptum
Negli Stati Uniti vince in otto occasioni il titolo di fioretto femminile. Nel 1963 la Us Fencing la inserisce nella propria hall of fame. In occasione del ritorno dei Giochi Olimpici in Germania, a Monaco nel 1972, a Helene Mayer viene dedicato un francobollo.
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