A una settimana dalla conclusione dei Mondiali Master di Livorno, Alessandro Paroli ci racconta il dietro le quinte dell’evento. Dall’organizzazione alla gioia di aver portato a termine la missione.
Non fosse stato per il sogno di Giulio Paroli e l’entusiasmo di suo figlio Alessandro, Livorno non avrebbe mai ospitato i Campionati Mondiali Master. Ora che l’evento si è concluso e tutto è andato per il verso giusto, lo stesso Alessandro Paroli ci manda il suo diario, un lungo racconto di come tutto è nato e si è sviluppato nel corso di sei giorni destinati a rimanere nella memoria di tutti i partecipanti.
Domenica 14 ottobre, una settimana fa circa. Sono le cinque di pomeriggio e sto camminando all’interno del parterre del Modigliani Forum; le gambe vanno da sole, perché non ho una meta precisa in realtà. Ma loro ormai si sono abituate da una settimana a consumare il pavimento del palazzetto e di conseguenza i miei piedi. È da poco finita l’ultima finale, anche la cerimonia di chiusura se ne è andata. È l’ultimo giorno dei campionati del mondo di scherma master. Continuo a vagare, ho come l’impressione che ci siano ancora cose da fare, persone da aiutare, navette da organizzare. Mi fermo e alzo gli occhi, mi guardo intorno: non c’è quasi più nessuno, i tecnici delle armi cominciano lo smontaggio delle pedane, vengono ripiegate le bandiere dei 60 paesi diversi.
Riavvolgo il nastro. Maggio 2015: da qualche giorno vedo mio padre Giulio pensieroso. Mi dico, sarà il lavoro (di ingegnere). In realtà a dargli pensiero è un altro grande amore della sua vita: la scherma. Ma non per qualche gara master alle porte, no. In pentola bolle qualcosa di molto più grosso, di più impegnativo «Voglio portare i mondiali master a Livorno» mi dice «In che senso??» rispondo io. «Sì..la gara.. i campionati del mondo.. voglio organizzarli a Livorno e vorrei che tu mi aiutassi». Capirete che non sono frasi che uno si sente dire tutti i giorni. Organizzare un evento come un campionato del mondo, che vorrà dire? Quante persone? Quante nazioni? E dove stanno tutti a Livorno? Mille domande una dietro l’altra, ma l’entusiasmo con il quale un ragazzino di 63 anni si butta nella sfida è contagioso. E partiamo.
Inizia il lungo viaggio: si passa dalla Federazione Italiana, dal presidente Scarso che si dice entusiasta dell’idea ma mette subito in guardia mio padre «Sei sicuro?». «Dopo tanto peregrinare, è l’ora di portare un mondiale master in Italia e soprattutto a Livorno, Presidente». D’altra parte siamo o non siamo la città che ha dato i natali ai Nadi, ai Montano e ai Di Rosa? Passa un anno e la candidatura è nelle mani della Fie, che accetta e assegna i campionati del mondo master 2018 a Livorno. Ora è ufficiale, ci siamo messi in un bel pasticcio. Mancano due anni interi all’inizio, ma la sensazione è che siano proprio là, dietro l’angolo.
E in effetti due anni volano, tra comitato organizzatore da definire e altre milioni di cose da sbrigare; perché è ovvio che nella mente dei più rimarranno impresse le immagini di una settimana. Ma la mole di lavoro fatta nei due anni precedenti è davvero incredibile: i momenti di ansia, paura, esaltazione si sovrappongono come fossero una cosa sola. Ci ritroviamo che mancano poche ore all’arrivo di circa 850 atleti, provenienti da 60 nazioni sparse per il mondo: Nuova Zelanda, Burkina Faso (unico rappresentante dello stato africano, Pierluigi Rossi), Kirghizistan per citarne alcune delle più inaspettate. Alcuni arrivano con giorni di anticipo, vogliono allenarsi e trovano disponibilità nelle società livornesi: tra chi vuole uno sparring personale con cui preparare il grande appuntamento a chi richiede un massaggiatore per smaltire le scorie del viaggio. Se i master non sono professionisti, non si può dire che non siano professionali.
Lunedì 8 ottobre, ci siamo. E’ il primo giorno, non ci sono gare ma la previsione è che un’orda barbarica carica di sacche da scherma arrivi al palazzetto per registrarsi, ritirare l’accredito e fare il controllo delle armi. Le prime due ore passano in un’apparente calma,ma è appunto solo apparenza: intorno alle 11 la macchina organizzativa lavora già a pieno regime. E come è inevitabile arrivano le prime emergenze da dover contenere. Vado alla riunione con i delegati della FIE ed ognuno evidenzia un piccolo eventuale problema con annesse un paio di richieste; lo fanno tutti e cinque e le richieste diventano dieci; poi la riunione con i capi delegazione. Il mio livello di stress sale ora dopo ora; dovrei esserci abituato considerato l’attività che svolgo, ma stavolta è qualcosa di diverso: mi sento come se 400, 500 persone dipendessero dalle nostre scelte. Ed è qui che il lavoro di un gruppo superlativo viene fuori: tutti che danno il massimo, nessuno che si lamenta ma lavora per far sì che la nave prosegua serena nella tempesta.
Il peggio sembra passato, ma martedì 9 ottobre è il giorno dell’inizio delle gare. C’è la cerimonia di apertura, il biglietto da visita della manifestazione. Arrivano i bambini portabandiera, arrivano le autorità, ci sono i familiari sugli spalti, gli amici, un po’ di stampa. Il colpo d’occhio del Modigliani Forum mi emoziona; mi giro verso mio padre, l’ideatore di tutto, e gli occhi tradiscono la commozione e l’orgoglio. Entra la fanfara dell’Accademia Navale di Livorno, gioiello della città, che suona con l’istituto Mascagni; si esibiscono le ragazze della ginnastica ritmica di Prato, sfilano i bambini con le bandiere. Tre carabinieri in alta uniforme issano la bandiera italiana e quella della FIE, suona l’inno. Si apra il sipario, i mondiali master di Livorno sono ufficialmente aperti.
Le giornate, intense, si susseguono una dopo l’altra. Non mancano gli affanni, le richieste assurde, uomini e donne dai 50 anni in su che, con la tensione delle gare, tornano spesso bambini. Proviamo a farci in quattro per aiutare chiunque: la nostra disponibilità e gentilezza sfiora l’assistenzialismo quando una signora australiana mi porta il suo ipad personale chiedendomi perché non funziona. Sono preso da un attimo di sconforto, sono la persona meno esperta e lei se ne rende conto quasi subito, congedandomi con un largo sorriso. La gentilezza degli australiani la ricorderò. Come quella dei ragazzi dei vari corpi militari che ci hanno fornito i pullman per la navette alberghi-palazzetto e viceversa. Ogni sera ci ritroviamo nel piazzale davanti all’entrata principale a cercare di coordinare tutti gli atleti che hanno finito di gareggiare, a smistarli sui pullman giusti che li riporteranno in hotel. E nel frattempo organizziamo le corse della mattina successiva. Senza la loro disponibilità sarebbe stato un vero incubo.
Siamo quasi alla fine, manca l’ultimo tornante, l’ultima sera: la cena di Gala. Liste scritte, scarabocchiate, buttate via, rifatte dieci, venti volte. Tra invitati e ospiti paganti sfioriamo le 250 presenze, un record rispetto a tutte le altre edizioni; nelle ultime ora sono tanti i “no” che dobbiamo dire: vorrebbero venire tutti e questo ci riempie di orgoglio. Ma il salone delle cerimonie dell’Accademia Navale, per quanto maestoso, più di quel numero non può contenere. La serata si rivela un grande e divertente terzo tempo durante il quale atleti che fino a qualche ora si sono sfidati senza risparmiare colpi, bevono, mangiano e ballano insieme. Una bella usanza, ripetuta ogni anno, un immancabile appuntamento per il mondo master ma che sarebbe interessante esportare anche in altri eventi di caratura mondiale.
Di nuovo domenica. Il mio camminare senza meta si ferma quando da dietro, un braccio si appoggia sulla mia spalla: è babbo Giulio. Ci abbracciamo in maniera un po’ frettolosa, la stanchezza ci priva anche della forza di festeggiare ma basta poco. Un “Ce l’abbiamo fatta” è più che sufficiente. Nei giorni successivi arrivano i dati ufficiali: 877 partecipanti individuali, 67 squadre. 60 nazioni coinvolte. Un record su tutti i fronti, una nuova frontiera per il movimento master e l’orgoglio per noi di aver riportato Livorno al centro del mondo schermistico.
Fotografie Trifiletti/Bizzi