Essere Maestro di scherma – Episodio 1: Sorridere e ascoltare

Il Maestro Giancarlo Toran racconta la sua esperienza e la sua carriera di Maestro di scherma. Primo episodio.

 

Cosa significa essere un Maestro di scherma? Non si tratta semplicemente di allenare un atleta, prepararlo per le competizioni, renderlo ogni giorno più forte e portarlo ai massimi livelli. Si tratta, soprattutto e prima di tutto, di crescere dei giovani, mostrar loro la bellezza di uno sport meno “facile” dei giochi con la palla, scoprire le loro inclinazioni e assecondarle. L’esperienza dei grandi Maestri italiani sta lì, accanto ai bambini come a fondo pedana dei campioni. Lo spiega molto bene Giancarlo Toran, Maestro della Pro Patria et Libertate Busto Arsizio e custode della memoria storia della scherma italiana. Toran ha iniziato a pubblicare sul suo profilo Facebook una riflessione stimolata da un suo ex allievo che ha al centro proprio il suo modo di concepire il ruolo di Maestro. È uno scritto che porta con sé una testimonianza straordinaria e per questa ragione, d’accordo col Maestro Toran, abbiamo scelto di pubblicarlo anche noi a puntate sul nostro sito. La prima puntata potete leggerla qui sotto.

Gabriele Lippi – Direttore di Pianeta Scherma

(Foto: Alessandro Gennari)

Un paio d’anni fa, sollecitato da Carlo Pensa, uno dei primi allievi – guardate la foto – dopo il mio trasferimento dalla Nedo Nadi di Salerno alla Pro Patria di Busto Arsizio, gli scrissi le pagine che vi propongo, a partire da oggi. A partire, perché il testo è lunghetto, e i testi lunghi non vanno più di moda. A rate, passano meglio. Se poi vi sembrano indigeste, o prolisse, fatemelo sapere.
Carlo, ottimo sciabolatore, dava filo da torcere anche col fioretto e con la spada: oggi, non si usa più – troppe gare – ed è un peccato. Ogni arma dà il suo bel contributo alla formazione di uno schermidore completo, se è vero che “la scherma è una”.

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Come insegno la scherma

Caro Carlo,
mi hai chiesto di mettere nero su bianco il mio modo di insegnare, raccontare come faccio a fare le cose che funzionano, e che io stesso a volte non so di fare, con persone così diverse fra loro. Mi spingi, in pratica, a fare un lavoro di introspezione, per mettere poi a disposizione di chi vuol leggere il risultato di questa esperienza di scavo.
Sfida accettata, e tuttavia un po’ anche temuta. Come mi vedo io, e come mi vedono gli altri (quali altri?): ne possono venir fuori descrizioni molto diverse. Sarà comunque un percorso stimolante, e credo anche gratificante, che farà il solletico al mio io. Cercherò di tenerlo a bada.
Incominciamo a sgombrare il campo, e a chiarire una cosa: anche se parlerò in qualche caso di tecniche, di metodi, io non ho un manuale d’uso: quando mi trovo davanti ad una persona – bambino o adulto, maschio o femmina, vedente o non vedente, e così via – che mi si rivolge perché vuole un consiglio, o che le insegni a fare alcunché, la prima cosa da fare, per me, è stare zitto. Zitto dentro, intendo. Devo ascoltare e ricevere quello che ha da dirmi, prima o invece di forzarlo attraverso le mie griglie interpretative… non so se mi spiego.
Se questo mi riesce, e spesso mi riesce, l’altro lo percepisce: sa che sto dando attenzione a lui/lei, si sente accolto, e sarà più bendisposto e fiducioso. In altre parole, prima di andare avanti bisogna costruire un rapporto che possa funzionare.
Un sorriso aiuta sempre, ma poi si dovrebbe tenerlo sullo sfondo: l’altro, bisogna prenderlo sul serio, e deve sentirlo. Devo capire presto se è lì perché lo vuole lui, perché lo vogliono solo i genitori, o magari se la sala di scherma è vicino a casa, e torna comodo parcheggiare lì il bambino. Una buona accoglienza, e un po’ di complicità, possono trasformare la svogliatezza, la timidezza, anche il timore, in entusiasmo.
Dunque, al primo posto mettiamo l’ascolto, l’empatia, il rispetto. È facile sentirsi superiori, al di sopra, di chi viene a chiederci un consiglio, o un insegnamento. Se però ci rendiamo conto della responsabilità che ci prendiamo verso quella persona, degli effetti che il nostro modo di rapportarci a lei, di influenzarla, può avere in positivo, ma anche in negativo, sulla sua vita, sarà più facile rispettarla, essere attenti, desiderosi di dare un aiuto effettivo.
Bisogna cercare di raggiungere un equilibrio difficile: perché il rapporto è bidirezionale, perché spesso coinvolge altre persone – i genitori, in particolare – e non è scritto da nessuna parte che le cose debbano andare per il meglio, e avere il lieto fine che desideriamo. Si fa il possibile, si commettono anche errori che possono essere pesanti, ma se l’intenzione resta positiva – il miglioramento dell’altro, secondo i suoi desideri, e non i nostri – non solo i nostri – beh, l’errore fa parte del gioco della vita, e dobbiamo accettarlo, e imparare dalla lezione che ci dà.
E poiché mi chiedi, oltre al racconto di mie esperienze, anche una specie di manuale d’uso, questo va detto subito: non puoi dare quel che non hai. E non si dà all’allievo solo quel che si ha, ma soprattutto quel che si è. Il miglioramento dell’altro, il possibile e mai certo successo dell’operazione, passa inesorabilmente dal miglioramento di sé. Un lavoro che non ha mai fine.
Quindi, se vuoi trasmettere calma, devi saper essere calmo quando occorre; se vuoi trasmettere fiducia e ottimismo, devi essere il primo a possederli e nutrirli. E se vuoi trasmettere tecnica, in fretta e bene, devi prima acquisirla, o almeno conoscerla e capirla.
Poi, e veniamo al punto che più ti interessa, devi comunicarla. Nel senso che quel che vuoi trasmettere deve arrivare a destinazione, e produrre il cambiamento desiderato. Dal cosa, si passa al come. 

(Continua…)

Giancarlo Toran | Biografia

Tarantino, ma oriundo napoletano per via del padre e della moglie, nota come la Toranna, ha incontrato la scherma quando, in genere, i più la lasciano: a 19 anni, all’Università, col Maestro Vittorio Bassetti, sciabolatore. Ha praticato con buoni risultati tutte le armi, prima da dilettante (classificato in tutte e tre, e prima categoria di spada e fioretto), poi come maestro (due titoli mondiali, ad Atene, spada e sciabola, e altre medaglie, e titolo italiano in tutte e tre), infine come Master (titolo italiano e un bronzo mondiale a squadre nella spada, ma da mancino). Dopo il diploma di Maestro presso l’Accademia di scherma di Napoli, nel ’75, ha insegnato per sei anni alla Nedo Nadi di Salerno, laureandosi in Scienze Naturali dopo essersi sposato, e dal 1980 presso la Pro Patria di Busto, dove dal 2012 è anche direttore del Museo dell’Agorà della scherma. Si occupa anche dei suoi due atleti non vedenti, entrambi vincitori di titoli italiani.
Presidente dell’Aims dal 1993 al 2008, si è occupato a lungo della formazione dei Maestri, ed ha scritto le “Dispense di spada”, poi adottate come testo per gli esami. Molte sono le pubblicazioni al suo attivo, per la Treccani, per la Fis (due volumi per celebrarne il centenario), oltre a numerosi articoli tecnici. Ultimi lavori, per ora, pubblicati di recente, una biografia della Maestra Marisa Cerani, e le memorie di Giuseppe Mangiarotti.

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Foto Alessandro Gennari