Essere Maestro di scherma – Episodio 4: Il consiglio giusto e l’importanza delle parole

Giancarlo Toran, essere Maestro di Scherma: episodio 3

Il Maestro Giancarlo Toran racconta la sua esperienza e la sua carriera di Maestro di scherma. Quarto episodio.

 

Cosa significa essere un Maestro di scherma? Non si tratta semplicemente di allenare un atleta, prepararlo per le competizioni, renderlo ogni giorno più forte e portarlo ai massimi livelli. Si tratta, soprattutto e prima di tutto, di crescere dei giovani, mostrar loro la bellezza di uno sport meno “facile” dei giochi con la palla, scoprire le loro inclinazioni e assecondarle. L’esperienza dei grandi Maestri italiani sta lì, accanto ai bambini come a fondo pedana dei campioni. Lo spiega molto bene Giancarlo Toran, Maestro della Pro Patria et Libertate Busto Arsizio e custode della memoria storia della scherma italiana. Toran ha iniziato a pubblicare sul suo profilo Facebook una riflessione stimolata da un suo ex allievo che ha al centro proprio il suo modo di concepire il ruolo di Maestro. È uno scritto che porta con sé una testimonianza straordinaria e per questa ragione, d’accordo col Maestro Toran, abbiamo scelto di pubblicarlo anche noi a puntate sul nostro sito.

Il consiglio giusto

Ancora nei primi anni della mia storia da maestro di scherma mi trovavo a Venezia, per una prova del campionato italiano dei giovanetti di spada. Vedo uno dei miei, Antonio, seduto con la schiena curva, un quadretto di desolazione e pessimismo.
Cosa ti è successo? Gli chiedo.
Hanno pubblicato il tabellone della diretta, dice, e devo tirare contro quello là (un atleta che era già allora considerato molto bravo, e divenne famoso in seguito).
E allora?
L’ho già incontrato in girone. Mi ha dato un cinque a zero, e non ci ho capito niente…
L’assalto non l’avevo visto, e consigli tecnici non potevo dargliene. Pensai allora di metterla sul piano emotivo.
E allora cosa fai? Parti già battuto? Prova a immaginare, tu per la strada con la tua ragazza, e lui, più alto e forte di te, la prende sotto braccio, ti scosta di lato, ti fa segno di cambiare aria… Tu che fai? Te ne vai o lotti?
Il quadro che gli avevo fatto era un po’ più dettagliato di questa sintesi, e intanto osservavo le sue reazioni. La schiena si risollevava, l’indignazione si faceva strada, lo spirito combattivo riprendeva quota. A questo punto, il consiglio:
Lui ti ha battuto facile, e si aspetta di fare il bis. Resisti in ogni modo, prendi tempo, non dargli facilmente misura, vai al doppio. Se riesci ad arrivare al cinque pari, sarà lui a crollare.
E così fu. Allora c’erano i ripescaggi, e i due si ritrovarono in finale. La vittoria netta del mio, nell’assalto diretto, fu quasi una pratica burocratica. Eppure, nulla era cambiato nella tecnica dell’uno e dell’altro. Cos’era cambiato? Emozione, motivazione, fiducia. Mente e cuore fanno la differenza, se non sei proprio carente nel fisico, nella tecnica e nella tattica.

Mi viene in mente un altro episodio in cui la parte emozionale è stata la più importante. Assalto finale per la vittoria, in un campionato italiano giovani di spada. Di fronte a Maddalena, la mia allieva, c’è una spadista che poi sarebbe stata in nazionale per anni, con notevoli successi. Madda parte in vantaggio, e conduce nettamente per tutta la prima frazione. Poi, inspiegabilmente, si spegne. Pare quasi che voglia passare vittoria. Ci salva la seconda pausa.
“Cosa ti succede? Le dico”.
“Non merito di vincere. Non mi sono impegnata per tutto l’anno, e ora mi sembra quasi di rubare”.
Questo dialogo avveniva col presidente della Fis seduto di fianco.
Le dico, fissandola con aria di rimprovero: “E io qui che ci sono venuto a fare? Se non avevi voglia di tirare, non dovevi neanche venirci, a questa gara. Stai mancando di rispetto a tutti, a me, alle avversarie che hai eliminato, alla tua avversaria per il titolo, che non gradirà certo una vittoria ottenuta in questo modo”.
Pochi secondi per digerire il colpo. Ci guardiamo di nuovo negli occhi. Ha recepito. In fondo, era quello che voleva sentirsi dire.
“Ora vai, e ribaltala!”
E così avvenne, in meno di un minuto. Campionessa italiana. La tecnica e la tattica non le sfiorammo neppure.

L’importanza delle parole

Ci sono tanti modi di usare il linguaggio, le parole. Riconosco l’efficacia di modi diametralmente opposti al mio, e provo spesso a servirmene. Faccio fatica, e provo a spiegarne il perché. Mi piace il linguaggio logico, chiaro, e nello stesso tempo semplice. So che i miei scritti e discorsi sono apprezzati per questo, e devo dire che questo modo di esprimermi funziona. Tuttavia, ho avuto a che fare con bravissimi maestri che usavano un linguaggio completamente diverso: a me pareva fumoso, elusivo, forse privo di contenuto reale. Eppure funzionava anche quello. Ci ho messo un bel po’ a capire perché, e credo di esserci riuscito. Intanto devo dire che quei maestri – uno certamente, un altro molto probabilmente – erano dislessici. Non lo facevano apposta, insomma, eppure riuscivano a comunicare una loro visione delle cose non ortodossa, e perciò in certi punti geniale. Mi perdonino i loro ottimi allievi. Per questa loro ‘carenza’ non hanno lasciato niente, o molto poco, di scritti relativi alla tecnica. Voglio dire, di cose scritte in modo che tu le leggi, e poi puoi provare a fare come hanno fatto loro. E magari riuscirci.

Ricordo, di entrambi, le domande che restavano sospese nell’aria, quando l’atleta si voltava aspettando un consiglio: “E allora? E quindi?” Se ponevi una domanda, la risposta che desideravi non arrivava mai, se non sotto forma di un nuovo quesito. La risposta dovevi trovarla tu. Quello “e allora?” rimaneva sospeso nella tua testa, e tu trovavi la tua risposta. Magari diversa da quella che trovava un altro. Ma era la tua, e l’effetto voluto era proprio quello, indurti a cercare. Poco o niente di preconfezionato. Un sistema che non va bene per costruire una macchina, o per scrivere un manuale tecnico, ma per le persone sì, perché attiva le risposte che forse, e sottolineo forse, hai già dentro.

Con questo sistema io mi trovo a disagio, e sono in numerosa compagnia. Ma i risultati non si discutono, anche se non possono ridursi a questo. Per conto mio, ero mosso da un altro desiderio. Volevo fare il ricercatore, e ho portato questa mia attitudine anche nella scherma. Le risposte che desideravo e ancora desidero devono essere chiare e nette. Sotto sotto, spero che anche i miei allievi apprezzino questo stile, come l’ho apprezzato io. Anche nel dare suggestioni, preferisco il metodo diretto. Eppure la tattica, come la intendo io, dovrebbe suggerirmi talvolta il contrario. Ho ancora molto da imparare.

Giancarlo Toran | Biografia

Tarantino, ma oriundo napoletano per via del padre e della moglie, nota come la Toranna, ha incontrato la scherma quando, in genere, i più la lasciano: a 19 anni, all’Università, col Maestro Vittorio Bassetti, sciabolatore. Ha praticato con buoni risultati tutte le armi, prima da dilettante (classificato in tutte e tre, e prima categoria di spada e fioretto), poi come maestro (due titoli mondiali, ad Atene, spada e sciabola, e altre medaglie, e titolo italiano in tutte e tre), infine come Master (titolo italiano e un bronzo mondiale a squadre nella spada, ma da mancino). Dopo il diploma di Maestro presso l’Accademia di scherma di Napoli, nel ’75, ha insegnato per sei anni alla Nedo Nadi di Salerno, laureandosi in Scienze Naturali dopo essersi sposato, e dal 1980 presso la Pro Patria di Busto, dove dal 2012 è anche direttore del Museo dell’Agorà della scherma. Si occupa anche dei suoi due atleti non vedenti, entrambi vincitori di titoli italiani.
Presidente dell’Aims dal 1993 al 2008, si è occupato a lungo della formazione dei Maestri, ed ha scritto le “Dispense di spada”, poi adottate come testo per gli esami. Molte sono le pubblicazioni al suo attivo, per la Treccani, per la Fis (due volumi per celebrarne il centenario), oltre a numerosi articoli tecnici. Ultimi lavori, per ora, pubblicati di recente, una biografia della Maestra Marisa Cerani, e le memorie di Giuseppe Mangiarotti.

Pianeta Scherma sui socialInstagram, TelegramFacebook

Foto Giancarlo Toran/Facebook