Nathalie Moellhausen, ritorno alle origini

Nathalie Moellhausen, un Mondiale in casa ma non troppo

A Milano Nathalie Moellhausen è nata e cresciuta. E nella sua città si appresta a vivere un Mondiale particolare in rappresentanza del Brasile in coda a una stagione che l’ha vista tornare al vertice dopo la lunga pausa post Olimpica. La spadista racconta la sua Milano e le sue sensazioni della vigilia in una lunga chiacchierata con Pianeta Scherma.

 

A Milano sarà il suo ultimo Mondiale, perché nei programmi di Nathalie Moellhausen la scherma è un impegno presente in agenda soltanto fino ai Giochi di Parigi 2024. L’ultima recita prima di iniziare un nuovo capitolo della sua vita seguendo i tanti progetti fra arte e imprenditoria figli del suo ingegno multiforme. Milano, da dove tutto è cominciato e ora snodo cruciale sulla strada verso il Grand Palais e i Cinque Cerchi. Le pedane del MiCo come ritorno alle sue origini, da vivere in una situazione che difficilmente può lasciare emotivamente indifferenti: il prossimo 25 luglio giocherà letteralmente in casa, gareggiando nella città in cui è nata, cresciuta e dove ha messo i primi passi su una pedana di scherma nel glorioso Circolo della Spada Edoardo Mangiarotti. Ma lo farà con una divisa in cui, sotto al proprio cognome, ci sarà la sigla BRA di Brasile e non la ITA di Italia, cui pure ha regalato tante gioie fra cui un titolo del Mondo a squadre del 2009.

A questo Mondiale ci arriva dopo una stagione di rinascita. Una lunga pausa post Olimpica, il cambio di Maestro con la fine dopo oltre 15 anni del sodalizio con Daniel Levavasseur e l’inizio del lavoro con George Karam, i ricchi dividendi sotto forma di due vittorie di fila in Coppa del Mondo fra Dubai e Barcellona, il podio di Cali e il bronzo agli ultimi campionati Panamericani. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Nathalie Moellhausen per farci raccontare non solo il suo sentimento in vista di questo fondamentale appuntamento, ma anche il suo rapporto con Milano, la sua stagione e i progetti per l’ultima parte della sua carriera schermistica.

In occasione dei Mondiali di Milano gareggerai nella tua città natale: che effetto ti fa, considerato anche che rappresenterai un’altra Nazionale?

Questa è una domanda che mi stanno facendo tutti ed è anche un po’ il paradosso della situazione. In realtà sono molto emozionata e molto felice di poter gareggiare nella città dove sono nata e dove ho iniziato a fare scherma, Milano, e di poter così tornare alle origini. Nel mio caso, essendo anche il mio ultimo Campionato del Mondo, perché fino a Parigi continuerò e poi intendo smettere, mi fa molto effetto avere queste due occasioni, prima a Milano e poi a Parigi – due città a cui tengo moltissimo – per poter gareggiare. Il fatto di essere sotto la bandiera brasiliana non toglie nulla al tifo italiano che avrò perché saranno in molti tra amici e famiglia oltre al fatto che, trovandoci vicino alla Francia, ci saranno anche degli amici da quella Nazione, quindi la mia curva di tifosi sarà importante questa volta. Non mancherà la “fetta brasiliana”: personalmente, come ho sempre detto, non ho mai rinnegato da dove sono partita, le mie origini, e tutte le mie medaglie hanno un po’ dell’Italia, un po’ della Francia e adesso anche del Brasile. Quindi mi sento assolutamente a mio agio con questa questione. E poi, ripeto, la scherma più che uno sport per me oggi è veramente un’arte, un’ arte di vivere che continuo a usare ogni giorno per poter esplorare altri aspetti che vanno molto al di là della competizione in sé. Per me ogni occasione di gara quest’anno è stata un’occasione per poter avanzare sul lavoro che sto facendo e che va ben oltre la competizione. Ed è per questo che penso che la cosa più importante rimane il combattimento, il match, al di là dell’evento in sé anche quando è importante come il Campionato del Mondo.

Le lacrime di Nathalie appena dopo aver messo l’ultima stoccata ai Mondiali di Budapest 2019 (Foto: Augusto Bizzi)

Torni spesso a Milano? Cosa ti mancava della città?

Ho avuto dei periodi in cui tornavo spesso a Milano: io vivo fuori dall’Italia: già da quindici anni ero in Francia e finché ero con la Nazionale italiana tornavo con molta più frequenza a Milano, perché potevo passare da casa per andare poi agli allenamenti con la Nazionale. Invece, da quando rappresento il Brasile, i miei viaggi in Italia si sono ridotti e spesso anche per periodi lunghi non riesco a tornare a Milano però adoro tornarci perché adoro vedere la mia famiglia, i miei amici e quando ho queste occasioni, anche se sono sempre per pochissimi giorni, lo adoro. Soprattutto è bello per me vivere Milano così, perché in questi anni ho visto l’evoluzione della città, il modo in cui si vive e quindi di fatto ci arrivo praticamente da turista. Vengo sempre un po’ presa d’assalto quando arrivo a Milano e anche in questa occasione sarà sicuramente così: finché ci sarà la gara dovrò gestire tutte le varie richieste di vedermi, per riuscire a rimanere concentrata.

Parlando del tuo rapporto con la città, quali sono gli aspetti di Milano che ami di più… 

L’aspetto che amo di più di di Milano è che è una città fatta proprio a misura d’uomo e direi che negli ultimi quindici, vent’anni è evoluta tantissimo: è una città molto dinamica, dove succedono tante cose. È evoluta dal punto di vista culturale e dell’architettura. E poi è una città strategicamente ben posizionata geograficamente. A differenza ad esempio di Parigi, dove per raggiungere qualunque posto di mare bisogna impiegare almeno tre ore di macchina, invece Milano è proprio una città che è situata in un punto dove è possibile fare tante cose, anche per le famiglie. Per me è diventata anche più internazionale negli ultimi anni, quindi sicuramente questo aspetto è interessante, inoltre resta sicuramente una città che trovo si sia molto abbellita negli ultimi dieci anni.

…e quelli che invece non apprezzi?

Trovo che sotto alcuni aspetti mantenga comunque un lato un po’ provinciale. A differenza di quanto percepisco vivendo all’estero, e considerando anche che Milano in particolare è molto concentrata sulla moda, l’Italia è un paese dove ci si basa molto sulle apparenze, dove si osserva molto come le persone si presentano a livello estetico. C’è molta tendenza al giudizio esterno, alla critica, al gossip e, anche se potremmo dire che questo succede in tutti i Paesi, in realtà non è così e lo dico per esperienza. Rispetto ad esempio al Brasile o alla Francia, mi rendo conto che è veramente una cosa molto molto italiana. Questa mentalità mi è sempre stata molto stretta e penso che molte delle attività che sono riuscita a sviluppare nel corso della mia carriera non sarebbero state possibili se fossi rimasta. Milano manca di una vera internazionalità, di un vero approccio cosmopolita che è ciò che fa sì che ci sia più libertà e più spazio di esprimersi e uscire un po’ dalle regole sociali. Da questo punto di vista, Milano è tendenzialmente una città molto chiusa.

Attualmente a Milano c’è una bella mostra di Sebastiao Salgado, fotografo brasiliano, sull’Amazzonia: da italo-brasiliana, pensi che andrai a visitarla?

Salgado è in assoluto il mio fotografo preferito al mondo e sono molto fiera di poter conservare in casa mia una sua opera, acquistata un anno e mezzo fa dopo aver visto la sua mostra “Amazzonia” a Roma. Non sapevo che fosse a Milano in questo momento, quindi sicuramente se avrò l’occasione andrò! Salgado, tra l’altro, ha realizzato un documentario incredibile sulla sua vita, che consiglio a tutti di di vedere.

Scherma - Grand Prix spada Doha, vincono Moellhausen e Siklosi

Nathalie Moellhausen esulta dopo la vittoria nel Grand Prix di Doha lo scorso gennaio: un successo che ha spezzato un digiuno di ben 13 anni  in Coppa del Mondo (Foto: Augusto Bizzi)

Tornando ai Mondiali, come ti stai preparando per questa competizione? Non solo a livello fisico ma anche psicologico?

Il mio approccio alle gare è cambiato molto. Anche il mio modo di lavorare nell’ultimo anno e mezzo, dopo le Olimpiadi di Tokyo, è cambiato tantissimo e rientra in un progetto che sto costruendo in cui la gara è semplicemente uno step, una tappa per poter testare determinate tecniche, determinati metodi che toccano l’aspetto fisico e soprattutto l’aspetto mentale ed emozionale oltre che tecnico. I mondiali sono quindi uno step sicuramente importante nella logica della qualifica olimpica e degli obiettivi sportivi che noi atleti abbiamo. Nella mia logica personale, alla fine nella vita è tutta una questione di prospettiva: lo stesso evento può essere vissuto e percepito in maniera diversa. Sono quasi quindici anni che faccio campionati del mondo una volta all’anno e ogni volta è stata un’esperienza diversa quindi oggi sono consapevole di che tipo di esperienza è per me. Non sto preparandomi per il mondiale in maniera molto diversa da quello che ho fatto tutto l’anno.

Ascolti musica per prepararti alle competizioni? Quale sarà la tua playlist a Milano 2023?

Sì, ascolto musica e la musica è fondamentale per me nella vita in generale. Anzi, è forse uno degli aspetti più importanti, che curo con estrema attenzione. È un aspetto che prendo dalla mia famiglia: mio padre era un appassionato di musica e la cura delle playlist è fondamentale per ogni occasione e per ogni momento. Trovo che ogni gara, ogni un evento è un’esperienza che deve avere le sue canzoni e le sue musiche che vanno insieme al contesto quindi si tratta di un lavoro che faccio prima. Sicuramente avrò la mia playlist per il mondiale di Milano 2023.

Arrivi a disputare un Mondiale “in casa” in un momento di grande forma: il tuo pensiero sulla stagione disputata finora?

I risultati ovviamente parlano: oggi, dopo tre anni, sono tornata numero quattro del mondo e senza quasi accorgermene. Quello che posso dire è che probabilmente questo è il risultato di tanti tanti anni di duro, durissimo lavoro e soprattutto di aver avuto il coraggio ad un certo punto di cambiare (dopo tanti anni ha cambiato Maestro passando da Daniel Levavasseur a George Karam, ndr). Penso che il cambiamento in un percorso professionale sia molto importante, il cambiamento giusto, quello che ci fa sentire di nuovo come quando abbiamo iniziato, che ci ridà con entusiasmo quella forza. L’anno scorso non ho praticamente gareggiato, ma nonostante ciò ho continuato ad allenarmi dietro la mia maschera anche se nessuno sapeva, me compresa probabilmente, se avessi ancora l’intenzione di continuare. Quindi diciamo che il mio approccio è che alla fine ogni gara è una storia a sé, è un momento. E proprio per questo ci si arriva con stati d’animo diversi a seconda di quelle che sono state le evoluzioni nel corso dell’anno, le sensazioni, gli episodi della vita. Sono tutti fattori di cui io tengo estremamente conto e che fanno sì che poi, nel giorno della gara, si arrivi con un mood che potrebbe non essere lo stesso di due o tre mesi prima. Quindi sicuramente il lavoro più grosso faccio è quello per farmi trovare pronta in ogni momento. In tal senso, se c’è un settore nella vita in cui vale la pena di prendere più anni, di invecchiare, è proprio la scherma perché mi rendo conto che l’esperienza che ho oggi sicuramente è un vantaggio.

Qual è la ricetta della tua longevità schermistica?

Per perfezionare la propria arte, per sublimarla e renderla un’opera d’arte perfetta o comunque per durare nel tempo l’unico segreto è il lavoro duro, non ce ne sono altri. Ed è quello che mi permette di continuare ancora alla mia età e di sentirmi, in effetti, in forma, nel senso di non aver problemi fisici e potermi muovere in pedana come voglio perché c’è stata molta costanza di lavoro, anche nel momento in cui non ho gareggiato.

Da sempre esplori la scherma come arte, portandola ad esprimersi in contesti inediti e creativi: a quali progetti stai lavorando in questo periodo?

Nell’ultimo periodo mi sono concentrata su un progetto molto importante, che viene esposto in parte nelle reti sociali: penso che la mia identità della donna mascherata, The Masked Woman, ormai è diventata nota a tutti e mi ha richiesto molto tempo. Il progetto delle performance mascherate è stato lanciato un anno e mezzo fa, e in esso sono diventata io stessa la protagonista. L’ho scritto, diretto, performato e interpretato assieme al mio team. Questo rappresenta, semplicemente uno step, è il microprogetto dentro a un progetto più grande di cui non posso rivelare ancora le prossime fasi. Tenendo conto del fatto che siamo in piena qualifica olimpica, quando lavoro su entrambi i fronti ce n’è sempre uno che a un certo punto rallenta un po’. Inoltre sto lavorando su un progetto sociale molto importante in Brasile che si chiama “Sii l’eroe di te stesso”, che vuole aiutare i bambini meno fortunati nella pratica della scherma.

 

Ci racconti qualcosa in più?

Il progetto è stato realizzato in collaborazione con un artista brasiliano di fama internazionale, Edoardo Cobra, il quale ha realizzato tre maschere di altrettanti eroi della storia: Gandhi, Madre Teresa di Calcutta e il Leone, quest’ultimo tratto dai disegni dei bambini. Questo progetto continuerà ad evolversi tutto l’anno prossimo, e alla  ci sarà un’asta per la vendita delle maschere i cui fondi verranno poi versati per aiutare lo sviluppo della scherma nelle istituzioni che si occupano di questi bambini. Anche in questo caso, si tratta soltanto del primo passaggio. Nei prossimi mesi c’è anche in programma la realizzazione del murale che sarà realizzato per le Olimpiadi nel villaggio olimpico. Insomma, da qui a Parigi 2024 c’è già una tabella ben definito di eventi da sviluppare in parallelo alle mie gare.

Come riesci a conciliare un allenamento agonistico di alto livello ai progetti artistici collaterali?

Diciamo che in tutta la mia carriera in generale ho sempre alternato le fasi, spesso lasciando da parte la scherma. È stato così nel 2013, poi nel 2018 e quindi dopo Tokyo, dove per un anno non ho potuto gareggiare perché ero molto impegnata. Nel 2013 l’occasione è stata quella del centenario della Federazione Internazionale di Scherma a Parigi, nel 2018 sono stata direttrice artistica sempre per la Federazione Internazionale al Gran Palais per il 105° anniversario. Sono stati grossi progetti che mi hanno tenuta lontano dalle competizioni. Inoltre, in parallelo ho sempre continuato a sviluppare il mio marchio, 5touches. In questa fase qui l’unico modo per poter conciliare i due progetti, quello sportivo e quello artistico, è lavorare con un team di professionisti dove ognuno si occupa di settori diversi. Ora che siamo a ridosso del Mondiale, ho un po’ più rallentato la parte artistica perché sono più concentrata per la gara e per la qualifica a Parigi. Ci vuole tanta organizzazione, tanta preparazione e anche gli appoggi giusti, ma anche una visione e molta forza di volontà per poter portare avanti entrambe le cose. Però penso che sia fondamentale, soprattutto quando arrivi a fine carriera, aver già fatto abbastanza esperienza nel settore lavorativo o comunque fuori dalla scherma per poter poi potersi lanciare in altri settori. Aver avuto sempre questo spirito imprenditoriale in questi anni mi ha permesso di affrontare tutto questo con molta serenità e  di vivere oggi anche le gare con lo stesso approccio.

Che libro stai leggendo? E quale porterai con te ai Mondiali?

Sto leggendo un libro sull’arte della spada molto interessante: quando mi avvicino a gare importanti, adoro leggere libri che contengono filosofie di vita o soprattutto legate alle arti marziali, che è un settore che mi interessa moltissimo e che esploro tantissimo. È un libro che contiene molte perle di saggezza rispetto alla via della spada e che cosa significa veramente questa pratica marziale dal punto di vista più spirituale che tecnico. Sono aspetti che ti insegnano moltissimo dal punto di vista della relazione. Come dico sempre, la scherma alla fine è una relazione tra due, è un incontro. È un dialogo tra due maschere, ognuna con la sua storia, con la sua cultura, con la sua vita dietro e dove il linguaggio di comunicazione non è nella vista, nel senso che non si vede il volto della persona e tanto meno si ascolta quello che la persona dice, quindi tutto quello su cui noi ci possiamo basare è la nostra capacità di percepire le intenzioni dell’avversario al di là di quello che mostra o sta facendo vedere. Tutti questi insegnamenti sono insegnamenti che valgono nella vita perché, ritornando al significato profondo del mio progetto con le maschere, come diceva anche Pirandello, nella vita si incontrano tante maschere e pochi volti: viviamo tutto il tempo sottoposti al numero di maschere che noi stessi portiamo e al numero di maschere che incontriamo. Sta a noi riuscire a connetterci con l’altro, capire quali maschere ci corrispondono di più e far cadere la maschera dell’altro.

Nathalie Moellhausen, un Mondiale in casa ma non troppo

Nathalie Moellhausen in azione (Foto: Augusto Bizzi)

Ultimo film visto? E quello che, a livello emotivo e di istinto, colleghi immediatamente al mondo della scherma?

Un film che ho visto proprio recentemente e che mi ha molto ispirato, che in realtà è piuttosto vecchio, è un documentario su Mohammed Ali. Devo dire che è stato probabilmente il documentario che mi ha ispirato di più: l’avevo visto tanti anni fa ma l’ho rivisto di recente e ho trovato che contiene tantissime perle di saggezza su quello che fa la differenza tra l’atleta e il campione ma anche fra il campione e la grande persona, quella capace di espandersi. Mohammed Ali non è stato solo un grande campione ma anche una persona in grado di cambiare e segnare la storia. Nella vita bisogna sapere che storia si vuole raccontare e avere il coraggio di raccontarla.

Vuoi mandare un messaggio ai lettori di Pianeta Scherma Che verranno a vederti gareggiare a Milano?

Il messaggio che ci tengo di più a passare è: siate gli eroi di voi stessi. E, ancora una volta, per tutti quelli che verranno a tifare per me a Milano, questo mondiale sarà un’altra opportunità per poter essere l’eroina di me stessa.

Ha collaborato Alessandro Gennari

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Foto: Eva Pavia/Bizzi Team