Dietro alla rinascita della spada azzurra, la fondamentale opera di Luigi Mazzone, che ha lavorato sul gruppo.
La resurrezione della Spada maschile ha la sua radice in una decisione lontana, quella che Sandro Cuomo prese due anni fa, al termine dei mondiali di Kazan. La squadra azzurra, che pure contava individualità di tutto rilievo (Garozzo in quell’edizione si prese il bronzo individuale), non riusciva a esprimere appieno le sue potenzialità, ed era squassata da polemiche esogene che avevano reso irrespirabile l’aria dell’ambiente e disordinate le prestazioni in gara.
La scelta di Sandro ha un nome e cognome, quello di Gigi Mazzone, che fu chiamato dal nostro CT a serrare le fila della squadra e ad orientarla verso quella concretezza che tutti abbiamo visto ieri nella magnifica gara di Rio. Mazzone è un tecnico (psichiatra) ma soprattutto un profondo conoscitore delle dinamiche del nostro sport (è stato uno spadista di ottimo livello, che una ventina d’anni fa gravitava nell’orbita della nazionale). Oltretutto siciliano, padrone della stessa lingua parlata dal terzetto azzurro. L’uomo giusto al momento giusto, come si suol dire.
Il lavoro di Gigi è iniziato in sordina: dopo quasi un anno di lavoro niente, la squadra continuava a perdersi in bicchieri d’acqua e i risultati scarseggiavano. Il fallimentare europeo di Montreux, dove i nostri finirono sconfitti all’esordio per mano dei non irresistibili cechi, parve decretare il fallimento della strategia intrapresa, alimentando le ragioni dei molti detrattori e la disperazione dei nostri vertici.
Tenacemente, il gruppo fece quadrato e poco più d’un mese dopo, in occasione dei Mondiali di Mosca, il profondo lavoro avviato un anno prima diede, come sbocciando, il suo primo frutto, quando l’Italia annichilì i francesi ed andò a sfiorare una medaglia che in partenza sembrava impensabile. La feroce accozzaglia di lottatori s’era trasformata in squadra, una squadra di straordinaria efficacia come si sarebbe visto da lì in poi, fino a quest’ultima cavalcata olimpica.
E’ una medaglia, l’argento vinto ieri, che viene da lontano, madida del sudore degli atleti e di uno staff (Dario Chiadò in primis) che ha creduto e investito in una scelta vincente. Onore al merito, una volta tanto.
Dino Meglio
Fotografia Augusto Bizzi per Federscherma
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